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Coronavirus, come si vive nella città focolaio?

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Coronavirus, come si vive nella città focolaio?
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Rilanciamo un articolo del Post che racconta cosa succede in questi giorni a Wuhan.

Sta circolando molto un video dell’agenzia AFP ripreso da un drone che mostra quanto siano vuote e desolate le strade di Wuhan, la città cinese di 11 milioni di abitanti dalla quale si pensa sia partito il nuovo coronavirus (2019-nCoV), che ha finora contagiato oltre 6mila persone e causato la morte di 132 di loro.

Nel video si vedono pochissime persone e Wuhan sembra in effetti una città fantasma. In realtà non è così: sebbene molti siano riusciti ad andarsene, moltissimi altri sono rimasti. In un altro video virale in queste ore si sentono alcuni abitanti che, ognuno dal proprio appartamento, urlano uno all’altro “Wuhan Jiayou” (“Forza Wuhan”) per farsi forza l’un l’altro.

Wuhan è stata la prima città che una settimana fa il governo cinese ha deciso di mettere in quarantena, di isolare dal resto del mondo: nessuno può entrare, nessuno può uscire (anche se ovviamente è complesso chiudere completamente una città da undici milioni di abitanti). Una misura drastica e, in queste proporzioni, senza precedenti, che è poi stata estesa ad altre città e zone della provincia di Hubei: un’area che, nel suo complesso, comprende più di 50 milioni di persone. Wuhan è la città principale di quella regione ed è considerata l’epicentro della crisi sanitaria (al punto che per riferirsi a questo nuovo virus si parla di “coronavirus di Wuhan”). 

Oltre a essere capoluogo della provincia di Hubei, Wuhan è anche la più importante e popolosa città della Cina centrale: è tra le 10 città più popolose della Cina e tra le 50 più popolose del mondo. Abitano più persone in quella sola città che nell’intera Lombardia.

Wuhan è attraversata dal fiume Azzurro e dal fiume Han, più piccolo, e il suo nome deriva dall’unione dei nomi di tre città da cui è formata: Wuchang, Hankou e Hanyang. Nella prima metà del Novecento ebbe in un paio di volte un importante ruolo per la storia cinese, diventando per breve tempo anche capitale di un governo nazionalista del Kuomintang e, alcuni anni dopo, capitale per un breve periodo durante la Seconda guerra sino-giapponese. Wuhan ha diversi ponti, alcuni particolarmente lunghi e moderni, e nove linee della metropolitana. Per la sua importante posizione geografica, è capitato che se ne sia parlato come di una “Chicago cinese”.

Il mercato da cui si pensa sia partita a fine 2019 la diffusione del coronavirus si trova in un’area piuttosto centrale nel distretto di Hankou. Ma è solo dalla seconda metà di gennaio che le autorità cinesi hanno progressivamente limitato gli spostamenti in uscita da Wuhan: prima bloccando voli, treni e strade principali, poi limitando anche gli spostamenti all’interno della città e infine, dal 26 gennaio, vietando praticamente a chiunque l’uso di mezzi privati e isolando la città.

A prescindere dai dubbi sull’efficacia della quarantena (milioni di persone sono entrate e uscite da Wuhan negli ultimi giorni di dicembre e nelle prime settimane di gennaio) e senza considerare quello che sta succedendo altrove, resta comunque il fatto che a Wuhan ci siano ancora milioni di cinesi e un numero difficilmente calcolabile di stranieri (comprese alcune decine di italiani) che da qualche giorno si trovano in una città bloccata e isolata, da cui è partito e in cui si è diffuso molto più che altrove un virus di cui si sta parlando in tutto il mondo. Una città in cui la principale preoccupazione è evitare di esporsi al rischio di contrarre il coronavirus e nella quale la principale attività riguarda la rapida costruzione di due ospedali che insieme potranno accogliere più di 2.500 pazienti, grazie anche a centinaia di medici e infermieri che arriveranno appositamente da fuori città.

Data l’improvvisa importanza e notorietà della città di Wuhan, e vista la peculiarità della situazione in cui si trova, in questi giorni diverse persone che vivono a Wuhan hanno raccontato la situazione sui social o sui giornali. È di certo un resoconto parziale, in gran parte fatto da cittadini stranieri in genere benestanti, ma è comunque utile per capire che, almeno per loro, la situazione è peculiare e di certo non piacevole, ma quasi mai davvero drammatica.

La situazione è ovviamente diversa per chi ha contratto o anche solo pensa di aver contratto il virus, perché vuol dire dover cercare assistenza in una situazione complicata, con tutti i problemi – non solo medici – che questo comporta (a prescindere dal relativamente basso tasso di mortalità del virus).

Il 24 gennaio, il giorno dopo l’inizio della quarantena, Chongthan Pepe Bifhowjit, uno studente indiano a Wuhan, aveva raccontato a BBC che viveva in un campus e che l’università controllava quotidianamente la temperatura di ogni persona, oltre a offrire gratuitamente mascherine e, se necessario, assistenza medica. Aveva anche ricordato che gli era stato detto di «evitare di mangiare all’aperto, lavarsi le mani ogni ora e indossare la mascherina anche quando si esce dalla propria stanza». Un altro studente ancora aveva detto che i cinesi di Wuhan si scambiano informazioni e aggiornamenti attraverso il social network cinese Weibo, mentre – a suo dire – gli expat, gli stranieri che in molti casi non parlano cinese, erano «meno informati».

Daniel Pekarek, un altro studente intervistato da BBC, aveva spiegato che a dicembre il coronavirus sembrava una cosa da niente e che era preoccupato di restare senz’acqua corrente, dato che non potendo uscire e prendere i mezzi non aveva modo di pagare le bollette. Pekarek aveva raccontato di avere una fidanzata cinese, che però era fuori città prima della quarantena e quindi ora non può rientrare. È uno dei tanti casi di persone che si sono trovate separate dalla quarantena. Oggi BBC racconta invece la storia di un uomo britannico che vive a Wuhan ed è sposato con una donna cinese: lui potrebbe lasciare la città con la figlia e tornare nel suo paese grazie a un volo speciale, ma lei, che non ha nazionalità britannica, deve restare lì.

Il sito francese Les Observateurs, affiliato a France 24, ha ripreso e condiviso le Storie pubblicate su Instagram dalla studentessa Amélie Chapalain. Nei video, Chapalain raccontava di essere in contatto tramite WhatsApp con il consolato francese e parlando con Les Observateurs si era lamentata soprattutto della noia e del fatto che si stesse sviluppando una sorta di paranoia. In uno dei suoi video faceva notare l’insolito silenzio in città.

Robert White, un altro straniero residente a Wuhan, ha spiegato ad Al Jazeera che dal suo punto di vista «la situazione non è preoccupante» e ha detto: «Finché hai cibo, acqua ed elettricità, va bene». L’insegnante britannico Ben Kavanagh, invece, sta raccontando la sua vita a Wuhan su YouTube. Nel primo video Kavanagh mostra le strade vuote e spiega, tra le altre cose, che guidare senza permessi speciali durante la quarantena comporta una multa salata e il ritiro della patente. Nel video, sempre con bocca e naso coperti e con i guanti alle mani, va con un’amica a fare la spesa in un supermercato Carrefour, e i due riempiono le loro valigie con tutto il necessario per stare più tempo possibile senza dover rifare la spesa.

Chi è a Wuhan racconta che i generi alimentari e gli altri prodotti si riescono a trovare, magari non tutto e non sempre, senza che il loro prezzo sia eccessivamente aumentato.

Nel secondo video, pubblicato ieri, Kavanagh porta fuori la spazzatura e mostra come sia relativamente semplice trovare sotto casa delle bottiglie d’acqua da comprare, oltre a parlare della possibile futura evacuazione per lui e i suoi connazionali.

Un altro video ancora, pubblicato dal South China Morning Post, mostra immagini simili – strade vuotee persone, comunque poche, quasi solo nei supermercati – e riporta il resoconto, piuttosto critico verso il governo cinese, di una donna che vive a Wuhan.

Insomma, la maggior parte dei resoconti disponibili parla di una situazione strana ma gestibile, per chi prende le dovute precauzioni. A seconda dei casi varia ovviamente il livello di preoccupazione e ottimismo, tra chi scherza un po’ sulla situazione e chi invece si dice sempre più turbato per quello che sta succedendo.

Sono molto più rari, per ovvie ragioni, i resoconti diretti di cittadini cinesi di Wuhan, oltre che di tutta l’area circostante. C’è, comunque, chi racconta che chi vive in aree più isolate della provincia di Hubei sta bloccando le strade che collegano i loro paesi con le città, per evitare che qualcuno possa arrivarvi da Wuhan, diffondendo magari il coronavirus.

Tra i molti video pubblicati in queste ore, ce ne sono alcuni che mostrano anche com’è la situazione nei vari ospedali della città. In alcuni casi mostrano una situazione apparentemente tranquilla. In altri si vede invece che gli ospedali sono affollati, con pazienti nei corridoi. C’è persino un video in cui un giornalista del sito cinese CGTN mostra come ci si deve vestire prima di entrare in un ospedale.

Così come i giornali stranieri, anche quelli italiani stanno riportando interviste e resoconti di cittadini italiani a Wuhan per studio o lavoro, che si stima siano alcune decine. Anche in questi casi i racconti si assomigliano tra loro, e c’è attesa per il volo di rimpatrio e per la successiva eventuale quarantena da fare in Italia per un periodo di circa due settimane (il tempo necessario per accertarsi che il coronavirus non sia stato contratto).

Uno degli italiani attualmente a Wuhan, uno studente di 22 anni, ha anche pubblicato su Facebook un messaggio per “smentire alcune notizie comparse in un articolo di stampa di una testata a tiratura nazionale”. L’articolo parlava di cittadini “costretti alla quarantena in una città senza più cibo”, ma lo studente ha tranquillizzato tutti, scrivendo: «Il senso delle mie affermazioni non era assolutamente quello che può apparire, ovvero che a Wuhan vi sia una situazione di carenza di cibo o comunque di approvvigionamento alimentare. Assolutamente no».

Già nell’intervista in questione – pubblicata il 28 gennaio sulla Stampa – lo studente rispondeva così alla domanda “Ha paura?”: «No, sinceramente no. Certo, la situazione qui è spettrale ma l’impressione è che l’emergenza sia stata molto ingigantita».

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Post

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