La tutela potrebbe estendersi ai dirigenti delle strutture e degli assessorati regionali. Le ipotesi su cui sta lavorando il ministero della Salute.
Uno scudo penale per impedire che gli operatori sanitari e sociosanitari impegnati a fronteggiare l’emergenza coronavirus, ossia nel periodo compreso tra 31 gennaio al 31 luglio prossimo (se non oltre in caso di proroga), possano rispondere in giudizio di attività svolte nell’esercizio della professione (prevenzione, diagnosi, cura, terapia e, in generale, assistenza; amministrazione, direzione e gestione, anche con riguardo agli adempimenti degli obblighi previsti in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro). Con la possibilità, forse, di estendere la tutela a dirigenti sanitari, dirigenti amministrativi, direttori generali, direttori territoriali e regionali e vertici di strutture sanitarie o sociosanitarie, sia pubbliche che private. Questo l’obiettivo del documento sul quale si sta lavorando al ministero della Salute.
Tre le possibilità allo studio:
– Una scriminante ad hoc, sul modello dello stato di necessità e/o dell’adempimento del dovere in fase emergenziale, che escluda dall’ipotesi di reato le azioni e le omissioni nell’esercizio delle professioni sanitarie o delle funzioni dirigenziali sanitarie durante l’emergenza e in conseguenza della stessa. Non è esclusa la previsione di un regime speciale di indennizzo a carico dello Stato, distinto per classi, casistiche, indici e voci di danno, con procedura semplificata di accertamento e liquidazione mediante l’istituzione di un apposito fondo. Si tratta dellasoluzione più garantista per i destinatari, ma pure più suscettibile di rilievi di costituzionalità per via “dell’esclusione indifferenziata di delitti (specie quelli contro la vita e la salute tutelati dagli articoli 2 e 32 della Costituzione), salvo, nel caso, prevedere la possibilità di specifiche e tassative esclusioni o limitazioni ex lege”.
– Escludere la rilevanza penale di tutti i fatti colposi, a parte il dolo. La responsabilità civile resterebbe inalterata e, anche in questo caso, sarebbe prevista la possibilità di un indennizzo a carico dello Stato attraverso apposito fondo. Anche in questo caso non mancherebbero alcune criticità costituzionali. Ad esempio, l’impossibilità di intervento per delitti colposi a tutela della vita e della salute, come omicidio o lesioni (anche gravi o gravissime) colpose, epidemia colposa e così via. Inoltre lo scudo non riguarderebbe “delitti dolosi che pure potrebbero risentire dell’emergenza come omissioni/ritardo/rifiuto d’atti d’ufficio o interruzione di pubblico servizio”. Non è da escludere un “rischio di allargamento giurisprudenziale della punibilità a titolo di dolo eventuale (per fattispecie a dolo generico)”.
– Ferma restando la responsabilità civile, con possibilità di indennizzo a carico dello Stato tramite apposito fondo, questa terza ipotesi prevederebbe la pena solo per colpa grave (negligenza, imprudenza o imperizia) in caso di violazione manifesta e ingiustificata della leges artis (cioè per violazione di una regola specialistica e/o tecnica, determinata da ignoranza, inabilità o inettitudine ad applicarla, oppure dalla sua non applicazione in concreto, nonostante il dovere specifico) “o, comunque, delle regole generali di base che disciplinano l’attività esercitata previste in linee guida o buone pratiche clinico assistenziali ovvero in protocolli specifici o programmi predisposti per fronteggiare la situazione di emergenza, ove esistenti e quando appaiono adeguati alle specificità del caso concreto, sempre che il loro rispetto risulti attuabile nelle specifihe condizioni di emergenza”.
La scelta sarebbe tra: causa di non colpevolezza o scusante (per inesigibilità in concreto della condotta); causa di non punibilità in senso stretto (per ragioni di politica-criminale), eventualmente estesa alla struttura.
Gli indici di gravità della colpa sarebbero da individuare tra i seguenti:
– misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi, sulla base della norma cautelare che si doveva osservare;
– specifiche condizioni di professionalità ed esperienza del soggetto agente e il suo grado di specializzazione;
– situazione ambientale, organizzativa e logistica in cui il soggetto si trovi ad operare;
– la proporzione o meno tra risorse (organizzative, strutturali, umane o economiche) disponibili e risultato da raggiungere o numero di pazienti e gravità delle relative condizioni;
– l’accuratezza nell’effettuazione del gesto clinico;
– le eventuali ragioni di urgenza e indifferibilità della condotta;
– il tempo a disposizioni per assumere decisioni o agire;
– l’oscurità del quadro patologico;
– la difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche;
– il grado di atipicità, eccezionalità o novità della situazione;
– il concorso colposo della vittima o di terzi;
– il grado di prevedibilità dell’evento;
– il comportamento tenuto prima e dopo il fatto;
– tutte le altre condizioni dell’agente o circostanze del caso concreto (clausola aperta di chiusura).
Il documento suggerisce poi la possibilità di procedere in due modi: indicare, sia pure a titolo esemplificativo, i casi in cui la colpa grave è comunque esclusa per legge; rimettere al giudice di merito la valutazione complessiva della gravità della colpa sulla base dei predetti indicatori, ponendo in bilanciamento fattori, anche di segno contrario, che ben possano coesistere, anche nell’ambito della fattispecie esaminata, analogamente a quanto avviene in tema di concorso di circostanze.
Infine, sul piano del procedimento giuridico:
– Parere di esperti (eper esempio il medico legale) sulla fondatezza della colpa grave prima dell’iscrizione della notizia di reato;
– possibile applicazione del procedimento di archiviazione ex artt. 411 comma 1-bis del cpp alle ipotesi in cui, immediatamente o sulla base di elementi raccolti in sede di indagini preliminari (es. parere medico legale), la colpa non risulti grave;
– possibile applicazione del proscioglimento prima del dibattimento ai sensi dell’art. 469 comma 1-bis cpp all’ipotesi in cui la colpa non risulti grave;
– possibilità (analogamente a quanto previsto dall’art. 651 bis cpp), nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato o sia intervenuto nel processo penale, che la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per mancanza di colpa grave a seguito di dibattimento abbia efficacia di giudicato quanto all’accertamento del fatto e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
Redazione Nurse Times
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