Intanto l’azienda ospedaliera ha avviato un’indagine interna per accertare l’accaduto.
In seguito alle accuse di razzismo rivolte a un’infermiera del pronto soccorso dell’ospedale di Benevento da parte del mediatore culturale Musah Awudu, il direttore generale del nosocomio, Renato Pizzuti, ha spiegato in una nota i passi che l’ospedale stesso sta compiendo per indagare sull’accaduto:
“Le notizie riguardanti un inqualificabile atto di razzismo all’indirizzo di un mediatore culturale di origine ghanese, che si sarebbe verificato presso il pronto soccorso della nostra Azienda, hanno provocato profondo sconcerto e indignazione nella direzione generale del “Rummo”, che da subito ha incaricato la direzione medica di presidio di avviare un’indagine per accertare i fatti denunciati, nell’ottica di assumere tempestivamente eventuali, severi provvedimenti”.
Il popolo del web ha rivolto migliaia di attestazioni di stima e solidarietà nei confronti di Awudu, che ha voluto esprimere così la propria gratitudine: «Grazie a tutti per il sostegno… A Benevento mi sento come a casa mia grazie alla gente come voi».
Da ieri, dunque, sono state avviate le indagini interne per chiarire quanto accaduto: “Dall’ascolto degli operatori presenti sul luogo – prosegue Pizzuti nella nota – emergerebbe una realtà dei fatti diametralmente opposta a quella raccontata. La dipendente ha concretamente dimostrato, attraverso una pregressa attività di volontariato in Africa, una profonda sensibilità all’accoglienza di chi, a causa di guerre e povertà, è costretto a lasciare la propria terra. Per questo, in presenza di un’accusa tanto infamante, ha presentato denuncia (per diffamazione). La difesa intransigente dell’umana dignità e la condanna di ogni intolleranza non può e non deve condurre a condanne sommarie, non suffragate da prove tangibili”.
Nel frattempo, Angelo Moretti, direttore della Caritas di Benevento, sottolinea che «Musah ha apprezzato molto la gara di solidarietà che ha fatto seguito al suo post su Facebook». E poi aggiunge: «È opportuno chiarire che la questione è circoscritta all’infermiera, in quanto si è trattato di un episodio iniziale che non ha influito minimamente sulla successiva prestazione delle cure mediche. Può accadere che lo stress accumulato nel corso di una giornata di lavoro diventi la causa scatenante di un’uscita fuori posto da parte di un operatore sanitario, che tuttavia non può né deve lasciarsi andare ad azioni discriminatorie nei confronti di un paziente. Il nostro mediatore culturale è una persona mite e serena. È andato in pronto soccorso perché si è ferito al labbro in palestra ed era preoccupato della copiosa perdita di sangue. Ma già ieri ha manifestato l’intenzione di incontrare l’infermiera e di abbracciarla. Quindi non è intenzionato a denunciare l’accaduto né alla direzione sanitaria né in altre sedi».
Nelle ultime ore è intervenuto anche il presidente dell’Ordine provinciale degli infermieri, Massimo Procaccini: «In qualità di presidente del collegio Ipasvi, ritengo vada stigmatizzato e non strumentalizzato ogni comportamento che sia in contrasto con i principi di uguaglianza e di discriminazione per motivi legati alla razza o alla religione, perché non giova né alla vittima, né alla società. Questi principi sono sanciti dalla Costituzione e dal codice deontologico degli infermieri».
Anche il sindacato Fsi Usae è intervenuto attraverso le parole del segretario territoriale Giovanni Tomasiello. Pur condannando qualsiasi atto razzista e considerando di fondamentale importanza la tutela della dignità delle persone, egli considera «una forzatura l’alzata di scudi, in modo unilaterale da parte di qualche associazione e di qualche sindacalista, senza aver preso atto della versione dell’operatrice».
Simone Gussoni
Fonte: Il Mattino
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