Nel 1820 è nata Florence Nightingale, fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna.
Duecento anni dopo, l’OMS ha dichiarato il 2020 L’Anno dell’Infermiere. Nessuno avrebbe potuto immaginare che questo riconoscimento potesse coincidere con lo scoppio della pandemia da COVID-19.
Abbiamo affrontato questo virus sconosciuto quando ancora non sapevamo bene i meccanismi di trasmissione e contagio, o quali fossero le complicanze che ne potevano derivare, quando intuivamo già da subito che avremmo messo a rischio la nostra salute e quella delle nostre famiglie.
Abbiamo detto a noi stessi “È il nostro momento, il momento di fare ciò che sappiamo fare meglio”: abbiamo accolto pazienti positivi quando non sapevamo ancora come tutelare noi stessi, come bardarci, come agire. Quando non c’erano ancora terapie efficaci, quando ancora nessuno sapeva come curare un paziente covid – positivo.
Abbiamo rivoltato come calzini i nostri reparti per trasformarli nel giro di poche ore (e non settimane, non giorni) in reparti infettivi COVID-19.
Possiamo perciò affermare senza paura di aver creato con le nostre mani i reparti Covid.
Ci siamo rimboccati le maniche per prepararci all’arrivo dei positivi, e non abbiamo mollato quando (probabilmente sarà successo alla maggior parte di noi) sono arrivati i primi pazienti quando ancora non sapevamo come delimitare la famosa “zona rossa” dalla zona pulita.
Sono arrivati i positivi, quando ancora aspettavamo l’arrivo di tutti i DPI idonei.
Ci siamo bardati, incerottati e imbustati aiutandoci l’un l’altro, controllandoci a vicenda per vedere se fosse tutto “isolato” nel modo giusto. Ci siamo allontanati dalle nostre famiglie per non metterli in pericolo.
Abbiamo cominciato ad affrontare questa trincea con tutte le difficoltà del caso, ma mai ci siamo arresi.
Lavoriamo con il freddo che la plastica della tuta trasmette d’inverno, e con il caldo asfissiante che invece porta in estate. Non beviamo e mangiamo per ore, non possiamo neanche svuotare la vescica.
Assistiamo i nostri pazienti, spesso sostituendoci alla famiglia che non può far visita, diventando il punto di rifermento e di sollievo di persone che si vedono al limite del crollo fisico e psichico.
Ci aggiorniamo e informiamo costantemente su tutti i possibili sviluppi che questa malattia porta riguardo complicanze, terapie, riabilitazioni, assistenza, sicurezza.
Noi però non siamo dei supereroi, come spesso siamo stati definiti, e infatti il virus colpisce anche noi. Più di 50 mila sono gli infermieri che hanno contratto il virus in Italia, alcuni dei quali sono deceduti.
Ammalarsi, morire, per aver svolto il proprio lavoro.
Non è questa l’attenzione che avevamo sperato di ottenere nell’Anno dell’Infermiere.
Si è concluso da poco il 2020, ma la nostra lotta no. Un anno dopo l’inizio della pandemia, noi infermieri siamo ancora sul campo di battaglia, in prima linea, fornendo una miriade di servizi vitali ai nostri pazienti, alle famiglie e alla comunità. Non c’è mai stato un momento di pausa, ma anzi, invece di vedere la curva del contagio abbassarsi, scopriamo anche dell’arrivo di nuove varianti del virus.
È importante ricordare (ma è anche abbastanza ironico) che lo slogan per l’Anno dell’Infermiere fosse già prima dell’inizio della pandemia “È ora di riconoscere il contributo fondamentale che gli infermieri danno alla salute globale”.
L’ OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, aveva dichiarato durante la proclamazione dell’Anno dell’Infermiere, ancor prima che scoppiasse questa “guerra”:
– Gli infermieri svolgono un ruolo fondamentale nella fornitura di servizi sanitari. Queste persone dedicano la loro vita alla cura delle madri e dei bambini; fornendo vaccinazioni salvavita e consigli sulla prevenzione; prendendosi cura delle persone anziane e soddisfacendo le esigenze essenziali quotidiane. Spesso sono il primo e unico punto di assistenza nelle loro comunità. Il mondo ha bisogno di 9 milioni di infermieri in più se vuole ottenere una copertura sanitaria universale entro il 2030.
È essenziale celebrare il lavoro degli infermieri, evidenziare le difficili condizioni che spesso affrontano e sostenere con maggiori investimenti la forza lavoro infermieristica e ostetrica. –
“Nessuno nel team sanitario ha lo stesso tocco personale e la stessa connessione con i pazienti. Questo è uno dei nostri superpoteri. Ma chi poteva mai immaginare che gli infermieri avrebbero attinto a questo superpotere a un livello inimmaginabile in questo periodo.” ha dichiarato Carole Treston, Chief Nursing Officer dell’Association of Nurses in AIDS Care e ambasciatrice dell’PCORI (Patient-Centered Outcomes Research Institute).
Nei primi mesi si sono susseguiti svariati messaggi di ringraziamento nei nostri confronti, dal papa ai maggiori esponenti della politica.
Siamo stati osannati come eroi, abbiamo sostituito Superman, Capitan America e Wonder Women. Siamo stati dichiarati degni di ammirazione, pieni di spirito di sacrificio, instancabili, coraggiosi, lavoratori straordinari, degni di riconoscenza e riconoscimenti. Il nuovo volto dell’infermiere è diventato quello segnato quasi a sangue dalla mascherina, con gli occhi pieni di lacrime e l’espressione distrutta.
Un raggio di sole arriva nel momento in cui il 20 Febbraio viene proclamato come prima Giornata Nazionale del Personale Sanitario, Sociosanitario, Socioassistenziale e del Volontariato.
Una giornata dedicata ad onorare il lavoro, l’impegno, la professionalità̀ e il sacrificio dei “camici bianchi” nel corso della pandemia, affinché negli anni le persone non dimentichino quello che è successo, quello che abbiamo vissuto e che stiamo tuttora vivendo, per onorare i tanti operatori sanitari che hanno perso la propria vita per cercare di salvare quella degli altri.
Nonostante questo, posso constatare con convinzione che, con il tempo, a tutto ci si abitua. Ci si abitua a vedere gli ospedali covid blindati, con qualche operatore bardato affacciato alla finestra che spera di trovare sollievo nell’aria fresca, come fosse la quotidianità di sempre.
Ci si abitua alle notizie sul numero crescente di contagiati, ci si abitua ad ascoltare i servizi dei telegiornali mentre dichiarano Pronto Soccorsi pieni con ambulanze in coda, reparti saturi, terapie intensive allo stremo, personale sanitario esausto e sotto pressione, ci si abitua al nuovo volto segnato dell’infermiere, come fosse normale routine.
Ci è stato anche detto “questo è il vostro lavoro, ve lo siete scelto voi, state solo lavorando”.
Siamo ancora oggi aggrediti da pazienti incontrollabili ed agitati, definiti portantini e scansafatiche, ma soprattutto ancora adesso c’è una fetta di popolazione che crede ai complotti, come se tutto quello che stessimo facendo sia recitare, come se il virus non esistesse. Inconcepibile. È un insulto a tutti i nostri sacrifici.
Io lo definirei quasi un voltafaccia. Non siamo più le fondamenta dell’assistenza? Non siamo più gli stessi coraggiosi di un anno fa?
Ma voi sapete che siamo tra gli infermieri meno pagati d’Europa?
Già prima della pandemia eravamo in numero insufficiente rispetto al fabbisogno e da sempre siamo sottoposti a orari proibitivi, reperibilità, straordinari obbligatori e ferie cancellate per mancanza di personale, non oso spiegarvi nel dettaglio quale possa essere la situazione attuale. Con l’arrivo del Coronavirus, i problemi sono solo aumentati, a livello esponenziale direi. Ci siamo messi, nonostante tutto, a disposizione, abbiamo nascosto le nostre paure e le nostre ansie all’interno delle nostre tute bianche e abbiamo garantito sempre la nostra professionalità e competenza.
Perché non è solo un nostro dovere, non è solo il nostro lavoro, ma nasce dal cuore.
Ci sarà mai un riconoscimento economico che valorizzi ciò che abbiamo sempre fatto, e che facciamo soprattutto ora?
Il nostro Codice Deontologico sottolinea già nelle sue prime righe un messaggio importante: noi siamo i professionisti della salute.
Ci sarà mai l’elevazione della figura dell’infermiere, in modo da dare ciò che è giusto e ciò che spetta a questo professionista?
Negli Stati Uniti le infermiere arrivano a ricoprire cariche come Colonnello e Generale, mentre in Italia siamo costretti a lottare per difendere la nostra categoria, per darle ciò che merita, per equiparare il nostro stipendio a quello europeo, per riuscire almeno ad avvicinare il ruolo che ricopre la professione a quello che occupa nel resto d’Europa.
Non bastano i tweet, i post, le frasi dei social di un anno fa. A noi serve altro.
Il nostro contratto, scaduto ormai da anni, aspetta di essere rinnovato: gli infermieri vanno valorizzati economicamente e non solo con parole di facciata, utilizzate nei cerimoniali. La classe politica deve riconoscere il valore aggiunto di questa professione, collocarla contrattualmente fuori dal comparto e garantire uno sviluppo di carriera all’interno del sistema salute.
Noi vogliamo essere difesi e tutelati.
Vogliamo che si riconoscano le difficoltà con le quali portiamo avanti il nostro lavoro, e che arrivi la svolta per ringraziarci dandoci ciò che meritiamo. La nostra speranza è che da oggi in poi si continui ad investire in risorse per salvaguardare la sanità pubblica.
Ho la brutta sensazione che un domani non troppo lontano invece non ci verrà riconosciuto ciò che stiamo facendo.
Quando si tornerà a condurre una vita normale, a vivere la spensieratezza che ora tanto ci manca, vi ricorderete di noi e dei nostri sacrifici fatti con amore, dedizione e professionalità per il bene di tutti?
Francesca Pia Biscosi
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