I fatti risalgono a 14 anni fa. La sentenza della Corte d’Appello conferma quella di primo grado: i medici sbagliarono valutazione, ma “anche un comportamento alternativo corretto non avrebbe scongiurato l’evento morte”. Niente risarcimento per i parenti dell’anziano, che dovranno anzi pagare le spese di giudizio sostenute dall’Asp Palermo (oltre 7.300 euro).
I medici dell’ospedale Cimino di Termini Imerese commisero degli errori quando curarono un paziente di 75 anni che si era presentato al Pronto soccorso dopo essere caduto e aver battuto violentemente la testa, e che poi era morto. Tuttavia “anche un comportamento alternativo corretto non avrebbe scongiurato l’evento morte, che si sarebbe comunque verificato”.
Per questo i giudici della seconda sezione civile della Corte d’Appello hanno rigettato la richiesta di risarcimento da quasi 1 milione avanzata dai figli dell’anziano (la moglie è deceduta durante il processo) e li hanno invece condannati a pagare le spese di giudizio sostenute dall’Asp, cioè oltre 7.300 euro. La sentenza conferma quella emessa dal Tribunale di Termini Imerese nel gennaio 2021, che allo stesso modo aveva accolto le tesi dell’Asp Palermo.
La vicenda che risale a ben 14 anni fa. Nel pomeriggio del 10 marzo 2009 l’anziano cadde mentre si trovava in un suo terreno e aveva battuto la testa. I suoi parenti lo portarono a casa, dove fu visitato dal medico di famiglia, che poi consigliò di accompagnarlo al Pronto soccorso dell’ospedale Cimino. Lì, come accertato da due diverse consulenze tecniche, eseguite sia in primo che in secondo grado, i medici sbagliarono valutazione.
“E’ certamente emerso che i sanitari dell’ospedale di Termini Imerese incorsero in due importanti imperizie – scrivono i giudici d’appello -, riconosciute da tutti i consulenti che hanno analizzato la documentazione: una prima errata refertazione degli esiti della Tac eseguita nell’immediatezza dell’arrivo al Pronto soccorso e una condotta colposa in capo al medico del Pronto soccorso, anche indotto in errore dagli errati esiti della prima Tac, il quale, considerato tutti i fattori di rischio, avrebbe dovuto sottoporre subito il paziente ad una consulenza specialistica neurochirurgica”.
Successivamente trasferito al Civico di Palermo, l’anziano fu sottoposto a un delicato intervento, che risultò “all’esito tecnicamente riuscito”, come scrisse il giudice di primo grado. Fu quindi trasferito in Rianimazione, dove avrebbe mostrato anche segni di miglioramento, visto che, pur restando in coma, sarebbe riuscito a respirare autonomamente. Il 22 marzo insorsero però nuove complicazioni, e il giorno successivo avvenne il decesso.
Ritenendo che la morte fosse stata determinata dal comportamento non corretto dei medici di Termini Imerese, la famiglia dell’anziano avviò una causa civile, chiedendo di essere risarcita con quasi 1 milione. In primo grado l’istanza fu respinta dal giudice e la decisione è stata adesso confermata in appello, dopo una nuova consulenza tecnica.
“Gli esiti degli approfonditi accertamenti peritali – affermano i giudici di secondo grado – hanno dimostrato che anche un comportamento alternativo corretto non avrebbe scongiurato l’evento morte, che si sarebbe comunque verificato con elevatissima probabilità in presenza del quadro clinico così grave in cui versava il paziente e dei plurimi fattori di rischio e ciò recide il nesso eziologico tra la condotta imperita e l’evento dannoso, costituito dall’avvenuto decesso”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Palermo Today
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