Fu lo psichiatra infantile Boris Levinson a tratteggiare, pubblicando nel 1962 il libro “The Dog as Co-Therapist”, una prima teorizzazione di quella che oggi è universalmente conosciuta come “Pet Therapy”, ovvero la particolare terapia che consiste nell’interazione fra uomo e animale al fine di produrre una relazione benefica.
Molteplici ricerche (ad esempio quella pubblicata su www.animalsciencepublications.org) hanno dimostrato che la presenza di un animale domestico porta benefici allo stato emozionale e psicologico del proprietario: nella relazione con il proprio animale la reciprocità che si instaura è spontanea e non nasce dall’intenzione di ottenere risultati terapeutici specifici; tutti gli effetti piacevoli che la caratterizzano sono esiti naturali della relazione stessa.
Quando però si parla di Pet Therapy non dobbiamo dimenticare che la relazione fra l’uomo e l’animale non è spontanea, ma nasce dal “bisogno di cure” e viene supervisionata da esperti di comportamento animale o da personale accuratamente formato per svolgere queste attività. L’animale non è un terapeuta, ma è il contesto relazionale ad esserlo.
Dal 2000 in Italia sono stati fatti molti passi in avanti verso l’applicazione pratica di questa teoria: Il 6 ottobre di quello stesso anno viene presentato al Senato il Disegno di Legge n.4827 sulle Norme per lo sviluppo della sperimentazione e dell’utilizzo delle attività e terapie assistite con animali.
Nel febbraio del 2003 l’allora Ministro della Salute Sirchia fa approvare un D.P.C.M. che riconosce ufficialmente la Pet Therapy
Oltre all’approccio clinico, in Italia sono stati fatti passi da gigante verso l’apertura delle corsie ospedaliere agli animali di famiglia. Ad esempio in Toscana e in Emilia Romagna da anni sono state prodotte delibere ad hoc per l’introduzione nelle strutture sanitarie degli animali da compagnia, mutuando così un aspetto della Pet Therapy e aggiungendo la componente “personale” del rapporto fra essere umano e animale di famiglia.
Per guardare all’esempio toscano, una prima proposta di questo genere è regolamentata all’interno del Piano Regionale Sanitario del triennio 2008-2010 (consultabile a pagina 83 Bollettino Ufficiale della Regione Toscana N.25), da cui si evince che “a tal fine, considerata la completa realizzazione dell’anagrafe degli animali d’affezione, è possibile consentire con maggior sicurezza il contatto fra uomo e animale, ad esempio sviluppando le attività di sostegno come la pet-therapy, la cui efficacia è consolidata nei pazienti disabili, nei bambini e negli anziani”.
Di recente, sempre guardando all’esempio toscano, la delibera n.1233 del 22/12/2014 riguradante “Linee d’indirizzo per l’accesso degli animali d’affezione in visita a degenti presso Strutture sanitarie e ospedaliere pubbliche e private accreditate” è stato l’ultimo documento approvato in ordine di tempo dalla Giunta Regionale. In un estratto del verbale (consultabile interamente su www301.regione.toscana.it) si può leggere che “Il presente documento disciplina le modalità inerenti l’accesso degli animali d’affezione, ossia tutti gli animali tenuti o destinati a essere tenuti dall’uomo per compagnia e affezione, senza fini produttivi o alimentari, nelle Strutture sanitarie e ospedaliere pubbliche e private accreditate della regione Toscana. I soggetti animali d’affezione (cosiddetti pets secondo il diffuso termine inglese) interessati sono quelli che vivono nelle famiglie dei pazienti in degenza presso le Strutture sanitarie e ospedaliere”.
L’ultimo in ordine di tempo ad aprire le porte agli animali da compagnia è stato il comune di Treviglio, in provincia di Bergamo, che ha raggiunto Regioni come la già citata Toscana e l’Emilia Romagna. È infatti facile vedere animali da compagnia entrare in ospedale a Reggio Emilia, a Ferrara, a Firenze, a Prato, a Pontedera. Ma si sono mossi anche a Mestre e al San Martino di Genova.
Per l’Azienda Ospedaliera di Treviglio il direttore generale Cesare Ercole ha infatti deliberato nei giorni scorsi il nuovo regolamento, anticipando la proposta di legge, ancora in discussione in Regione Lombardia e che, se approvata, introdurrà il libero accesso degli animali domestici accompagnati dal proprietario in tutti i luoghi pubblici: quindi l’Azienda Ospedaliera ha dato il “via libera” a cani, gatti e conigli seguendo le ormai “vecchie” esperienze delle Regioni pioniere di questo nuovo e potente approccio: Maria Chiara Catalani, vicepresidente della Sisca, Società Italiana di Scienze del Comportamento Animale, spiega che con il proprio animale accanto “intanto si mantiene contatto con la vita quotidiana e ci si motiva a curarsi bene per tornare presto a casa. La festosità del cane in generale, ma in particolare del proprio, è importante emotivamente. E tra l’altro la visita è meno impegnativa rispetto a quella di un parente o una persona cara. Con il cane ci si rilassa e basta, si sta insieme in tranquillità”.
Chiaramente non tutti i reparti sono aperti a questi “speciali visitatori”: per l’alto rischio infettivo le terapie intensive e le unità coronariche e chirugiche sono corsie off-limits; altre regole da seguire riguardano l’età dell’animale che deve avere più di 8 mesi e la sua pulizia, che deve essere effettuata 24 ore prima della visita.
L’animale inoltre deve avere un certificato di “sana e robusta costituzione” rilasciato dal veterinario; gatti e conigli vanno condotti dentro il reparto all’interno del “trasportino” e i cani devono avere guinzaglio corto ed eventualmente la museruola; per quanto riguarda gli operatori sanitari, questi devono essere formati a valutare l’animale e condurlo; il medico del reparto deve comunque avallare la visita e, ultimo ma non in ordine di importanza, anche gli altri degenti presenti nel reparto devono essere d’accordo.
Quali sono i benefici?
Mantenendo la relazione fra animale e proprietario, si migliora l’umore del degente e anche il rapporto tra personale sanitario e paziente, importante per continuare positivamente il percorso di cura della persona ricoverata.
Marco Parracciani
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