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Alla professione infermieristica va riconosciuta la sua specificità

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Chronic Care Model nella gestione della cronicità. Il ruolo chiave dell’infermiere 2
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Durante l’ultimo convegno nazionale FNOMCeO tenutosi a Rimini lo scorso Maggio, il relatore ha esordito proponendo alla platea una vignetta satirica, che evidenziava come si sentisse la categoria dei medici…

La vignetta riportava l’immagine di un tubetto di dentifricio al centro, spremuto da un lato dagli infermieri attenti ad agire nell’ambito della prevenzione, mentre dall’altro venivano messi in evidenza macchinari tecnologici verso i quali era concentrata l’attenzione dei pazienti.

I poveri medici quindi al centro si sentono non solo svalorizzati da figure che sottraggono potenziali utenti alla cura, ma se la prendono anche con il progresso tecnico che rischia di risultare più affascinante della figura del clinico.

La vignetta era stata attinta da una rivista americana.

Il ministro della salute Lorenzin, per sostenere una platea evidentemente scoraggiata, ha cercato di confortarla definendo la classe medica sulla strada della proletarizzazione.

Ora, immagino che sul viso di molti possa apparire un sorriso, perché se i medici sono ad un passo dalla proletarizzazione non so cosa si possa o debba dire di altre figure sanitarie che a fronte di responsabilità crescenti, vedono i loro salari nella parte fissa (ma anche tutta la parte variabile della busta paga) ferma da oltre un decennio.

Ma qualcuno potrebbe obiettare che siamo una categoria venale e non sappiamo guardare a tante soddisfazioni professionali che l’infermiere può giustamente ottenere a livello umano, cose preziose che dovrebbero far guardare ben oltre una semplice busta paga.

Certamente la lezione di etica sarebbe accettabile se sul pulpito però ci fossero esempi credibili a cui potersi riferire.

La disparità eccezionale che i contratti prevedono tra esercenti le professioni sanitarie, soprattutto nell’ambito dell’esercizio della libera professione intramoenia ed extramoenia (la possibilità di dedicarvisi e i relativi compensi) non trova alcun tipo di giustificazione pratica al di là del corporativismo, antica pratica che riemerge in ogni momento nel quale qualcuno teme di dover rinunciare a propri vantaggi acquisiti e per questo giudicati inalienabili.

Il fatto che ci siamo dedicati, perché fermamente convinti della bontà di questo agire, nel conseguire e ottenere competenze e nell’essere in grado di applicarle, ci dà la certezza che possiamo porci all’interno di un ruolo autonomo, collaborativo, ma in alcun modo inferiore ad altre figure.

Il passo successivo è che come categoria dobbiamo necessariamente giungere ad un riconoscimento di specificità e dobbiamo essere in grado di non cedere un solo millimetro di quanto con fatica stiamo conquistando, anche se la professionalità a noi contigua, per utilizzare un’analogia più domestica rispetto al tubetto di dentifricio, in questo momento lamenta il sentirsi vaso di coccio fra vasi di ferro.

Non è tempo nel quale si possano accettare o tollerare forme di arroganza o saccenza gratuite, siamo pronti a collaborare per essere trattati alla pari di qualunque altra professione e mai accettando questo gioco al ribasso che continua nel tentativo di svilirci e sfinirci.

Il tempo del ruolo ancillare è finito per sempre per fortuna, si rassegnino i nostalgici, anche quello della missione, siamo entrati in quello della professione con pari dignità e qui desideriamo spenderci.

Ci sono situazioni e condizioni che portano ad uno sviluppo che non è possibile fermare.

Certo ci dobbiamo aspettare che molte forze tentino di rallentare lo slancio che desidereremmo avere, anzi lo faranno senz’altro, lo stanno già facendo, ma quando si è certi che la strada intrapresa, che è quella della dignità e la salvaguardia del decoro di una professione è evidentemente quella corretta, fosse individuata solo grazie al semplice buon senso, non potremo che andare avanti sino al raggiungimento di ciò che riteniamo essere giusto.

Dario Porcaro

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