Uno studio britannico, che ha coinvolto più di 1.000 scienziati del mondo accademico e industriale, ha portato allo sviluppo di un esame del sangue per predire l’insorgenza della malattia di Alzheimer (Ad). Attraverso l’analisi delle differenze riscontrate nel sangue di 452 persone sane, 220 con decadimento cognitivo lieve (Mci) e 476 con Ad, i ricercatori – coordinati da Simon Lovestone – dell’università di Oxford hanno identificato un gruppo di 10 proteine, presenti in soggetti con Mci, in grado di predire l’evoluzione verso l’Ad con valori di accuratezza, sensibilità e specificità pari, rispettivamente, a 87%, 85%, e 88%. I risultati, pubblicati su Alzheimer’s & Dementia, verranno usati per migliorare la sperimentazione di nuovi farmaci contro l’Ad. Gli esperti hanno però sottolineato come il test non sia ancora pronto per l’utilizzo negli ambulatori medici.
Questo progresso si contrappone (ed è correlato) a un problema opposto: il perdurante insuccesso nello sviluppo di trattamenti per la patologia neurodegenerativa. «La ricerca di trattamenti per l’Ad è stata gravata da fallimenti» conferma Jeffrey L. Cummings, del Cleveland Clinic Lou Ruvo Center for Brain Health di Las Vegas (Nevada, Usa), e collaboratori, su Alzheimer’s Research & Therapy. «Tra il 2002 e il 2012, il 99,6% delle sperimentazioni volte a prevenire o invertire la malattia sono state un ‘flop’». I clinici spiegano i fallimenti terapeutici con il fatto che le cure sono intraprese quando la patologia si è già instaurata: i sintomi appaiono infatti circa un decennio dopo il reale inizio della malattia. Ecco perché l’identificazione anticipata dei pazienti è una delle priorità nella ricerca sulla demenza. «Quello a cui puntiamo è poter identificare le persone da indirizzare agli studi clinici prima di quanto succeda attualmente» ha sottolineato Lovestone. «Finché non vi è alcun trattamento» ha aggiunto «si può mettere in dubbio il valore di un test, ma i pazienti vengono comunque in clinica per sapere che cosa sta accadendo loro e, finora, non lo si poteva dire». Eric Karran, direttore della ricerca di Alzheimer Research UK, ha però evidenziato che, pur con i livelli di precisione attuali del test, c’è la possibilità di dire a persone sane che rischiano di progredire verso l’Ad, causando loro ansia e depressione.
FONTE: doctor33.it
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