Le infezioni ospedaliere, propriamente dette nosocomiali, sono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria. Si definiscono così le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale o dopo le dimissioni del paziente che, al momento dell’ingresso non erano clinicamente manifestate e nemmeno in incubazione.
Circa l’80% di tutte le infezioni ospedaliere riguarda quattro sedi principali: le infezioni sistemiche, come sepsi e batteriemie, le ferite chirurgiche, il tratto urinario e l’apparato respiratorio.
Le più frequenti sono le infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35-40% di tutte le infezioni ospedaliere. Tuttavia, negli ultimi quindici anni si sta assistendo a un calo di questo tipo di infezioni (insieme a quelle della ferita chirurgica) e a un aumento delle batteriemie e delle polmoniti, conseguenza graduale di un aumento dei fattori di rischio specifici come l’uso abbondante di antibiotici (che se da un lato proteggono dall’altro distruggono il sistema immunitario) e di cateterismi vascolari, porta d’ingresso di numerosi batteri.
I microrganismi più coinvolti nelle infezioni ospedaliere, fino all’inizio degli anni Ottanta, erano principalmente batteri gram-negativi, citando per esempio E. Coli e Klebsiella che comunque, seppure in maniera contenuta, troviamo ancora oggi nei reparti di lungo degenza. Con l’aumento dell’utilizzo di materiale plastico, poiché trovano in esso un terreno favorevole, sono cresciute le infezioni sostenute da gram- positivi e quelle dei miceti.
Parlando di fattori di rischio vien da se dedurre che il principale è proprio il motivo per cui si è ricoverati. Infatti, le persone a rischio di contrarre un infezione ospedaliera sono innanzitutto i pazienti ma, con minore frequenza troviamo anche il personale sanitario. I fattori di rischio, eliminate le patologie concomitanti o altre infezioni che colpiscono l’assistito, sono l’età, le alterazioni dello stato di coscienza, la malnutrizione e, come dicevo in precedenza,le prolungate terapie antibiotiche.
E, quale potrà mai essere il maggior veicolo di queste infezioni? Le mani dell’operatore, ovviamente.
Mani che concretamente mettono in diretto contatto una persona sana e una infetta. Mani che dovrebbero essere sempre pulite e che molto spesso (e purtroppo i dati lo confermano) non lo sono. Le infezioni nosocomiali si trasmettono anche con un contatto diretto attraverso un veicolo contaminato. Bisognerebbe onestamente chiedersi, per esempio, quante volte gli strumenti diagnostici vengono completamente disinfettati tra un paziente e l’altro? E se non di nostra competenza, quante volte controlliamo che venga svolto correttamente? E chiediamoci quindi quanto siamo responsabili di queste infezioni? A mio modesto parere, per onestà intellettuale dovremmo essere tutti d’accordo nel rispondere con rammarico che in buona parte è colpa nostra.
Ma, come infermiere professionista della salute, sono in grado di prevenire le infezioni nosocomiali?
E’ vero, non tutte le infezioni correlate all’assistenza sono prevenibili ma è opportuno, per non dire imperativo sorvegliare selettivamente su quelle che sono attribuibili a problemi nella qualità dell’assistenza, prevenirne l’insorgenza o bloccarne la diffusione. Tutto questo per il bene del paziente ma anche per il bene della struttura in cui si lavora e, più in generale, della società. Le infezioni hanno infatti un costo, sia in termini di salute che economici.
L’infermiere deve essere in grado di adottare pratiche assistenziali sicure, in grado di prevenire e controllare la trasmissione di infezioni. Deve pianificare e attuare diversi programmi di controllo per garantire personalmente la messa in opera delle linee guida che si dimostrano efficaci nel ridurre al minimo il rischio di complicanze infettive.
Jessica Gentile
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