L’estate, tradizionalmente, è un periodo critico per gli anziani, soggetti ad alto rischio di disidratazione, condizione che determina l’aumento della mortalità. Già a partire dai 65 anni di età, infatti, l’organismo ha una minore capacità di adattarsi ai cambiamenti di temperatura e di regolare il contenuto corporeo di acqua.
Gli anziani, inoltre, sono spesso affetti da malattie come quelle cardiovascolari, del fegato, neurologiche e polmonari che aumentano il rischio di disidratazione. Senza dimenticare che le persone in età avanzata dipendono dagli altri per regolare l’ambiente in cui si trovano, per assumere la corretta quantità di liquidi e per l’approvvigionamento di beni di prima necessità, come alimentari e farmaci.
Un insieme di condizioni che determina “fragilità”, un equilibrio potenzialmente precario nel prendersi cura di sé, che predispone ad eventi acuti, come le cadute o anche il colpo di calore. Per cercare di prevenire il problema il Ministero della Salute promuove la divulgazione di linee guida ed indicazioni pratiche per la gestione dell’ “emergenza caldo”, mentre le amministrazioni locali cercano di costruire reti sociali e sanitarie per monitorare i fattori di rischio e supportare gli anziani (che spesso abitano da soli) nelle attività quotidiane.
“Come infermiera – spiega Cristina Banchi, membro del gruppo di lavoro sulle residenze per anziani del Collegio IPASVI di Firenze – mi occupo da anni di anziani e credo che il vero ostacolo sia correggere le abitudini. L’anziano, soprattutto in una condizione di fragilità, si costruisce una serie di consuetudini grazie alle quali si orienta e può rimanere autonomo. Cambiarle non è facile, proprio perché rappresentano una sicurezza per la persona. Per questo le campagne per l’emergenza caldo non possono essere sufficienti se non sono accompagnate da un aiuto concreto da parte di tutta la società“.
In Toscana a partire dal piano sanitario regionale 2008-2010, è stato abbracciato il Chronic Care Model, un modello di assistenza medica dei pazienti affetti da malattie croniche. Il passaggio dalla “Medicina d’attesa” alla “Sanità d’iniziativa” ha permesso di creare percorsi ad hoc per patologie quali scompenso, diabete, ipertensione. Il professionista sanitario di riferimento è l’infermiere del territorio, che recandosi periodicamente a domicilio può individuare problemi e difficoltà nella gestione dei bisogni. L’obiettivo è, infatti, quello di prevenire l’evolversi delle patologie croniche attraverso il coinvolgimento del nucleo familiare o sociale. Ad oggi, infatti, i servizi territoriali – benché presenti – sono deficitari di una figura professionale quale quella dell’infermiere di comunità-famiglia. Una figura ormai imprescindibile, per il Collegio IPASVI di Firenze, nella presa in carico dei cittadini nel sistema salute.
Tra l’altro il collegio del capoluogo toscano collabora anche alla divulgazione delle linee guida ministeriali e ai programmi di prevenzione delle amministrazioni locali, attraverso la diffusione di pubblicazioni ad hoc. E propone cicli di formazione per gli infermieri che favoriscono l’aggiornamento continuo. Iniziative importanti perché attraverso il Chronic Care Model l’infermiere gestisce l’assistenza degli anziani più fragili, monitorando periodicamente la persona e la famiglia.
“Il modello organizzativo – precisa Banchi – prevede visite periodiche con l’obiettivo di rilevare i primi sintomi di un peggioramento delle condizioni di salute della persona, in modo da segnalare eventuali criticità ed attuare gli interventi assistenziali necessari a prevenire l’evolversi della situazione verso l’evento acuto. Una delle funzioni fondamentali dell’infermiere è proprio l’educazione sanitaria, grazie alla quale vengono fornite le informazioni necessarie a rendere le persone, soprattutto le famiglie, più autonome“.
Savino Petruzzelli
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