Simona Sapio, colpita da leucemia a tre anni, la sconfigge e diventa infermiera
Salve, dopo aver letto la testimonianza di Giulia (VEDI) è scattato qualcosa in me, forse i molti punti in comune con Giulia. Desidero raccontarvi la mia storia.
Mi chiamo Simona Sapio, sono nata a Melfi, un piccolo paese della Basilicata, il 7 marzo 1992. Sono sempre stata una bambina allegra e gioiosa, il mio soprannome era “piccola peste”.
Nel dicembre 1995 qualcosa in me stava cambiando; i miei occhietti diventavano sempre più tristi, me ne stavo lì seduta in un angolo del mio divano, con al mio fianco la mia sorellina, Marica, che mi incitava a giocare con lei, ma nulla mi interessava, ero chiusa nel mio mondo.
I miei genitori vedendomi così, iniziarono a preoccuparsi, contattarono insistentemente il mio pediatra ma nulla di fatto: “la bambina sta bene, è solo influenza”, queste le sue parole. I giorni passarono ma sopraggiunse un altro campanello di allarme: una febbricola persistente, quella che compare soltanto la sera 37°C, 37,5°C e così via. Mamma e papà turbati dai miei cambiamenti avevano il sentore che ci fosse qualcosa che non andava, che non fosse una banale influenza.
Non si arresero e iniziarono a contattare medici di famiglia, medici di fiducia e conoscenti che potessero metterci in contatto con qualcuno pronto a leggere quello che il mio corpo stava dicendo.
La situazione non era affatto chiara e ciò che invece era ovvio era che bisognava preparare le valigie e partire.
Partire per andare dove? Per cosa?
Non avevano la minima idea di quello che stava per piombare su di loro, e su di me. Fecero vedere le analisi del sangue a uno dei tanti interpellati e questo qualcuno ci intimò di rivolgerci urgentemente ad un ematologo, consigliandoci il centro più vicino e qualificato: l’Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” di S.Giovanni Rotondo. Partimmo immediatamente.
Venni ricoverata nel reparto di ematologia e dopo alcuni giorni arrivò la diagnosi, questa volta quella vera: una Leucemia Linfoblastica Acuta.
Era lei che, entrata nel mio corpo, si stava impossessando di me. Da qui, l’inizio di tutto.
Furono giorni di totale confusione: io in una piccola culla che non era quella in cui avevo dormito fino ad allora, mamma che mi guardava con occhi diversi, gonfi di dolore, papà fuori dal mondo con uno sguardo perso nel vuoto e poi, la mia piccola sorellina dove era finita?
Iniziai a guardarmi intorno e non vedevo altro che bambini come me e persone vestite di bianco. Molte furono le domande che frullarono nella mia mente, nonostante i 3 anni: “che ci facciamo qui? chi sono queste persone vestite di bianco?”…e con il passare dei giorni iniziai a darmi anche delle risposte.
Mamma mi diceva: “queste persone vestite di bianco sono medici ed infermieri e sono qui per prendersi cura di te, dobbiamo rimanere qui ancora un po’”. Così mi tranquillizzai, erano lì tutti per me. Ed è stato realmente così.
Il Dott. Ladogana che, appena aveva un attimo libero correva in camera, parlava e rassicurava mamma e papà e poi, seduto accanto a me giocava fino a quando ero io a stancarmi di quel gioco.
Il Dott. Carella, lui, il dottor fascino, il dottore super giovane, tanto che divenne il mio fidanzato, ormai lo sapevano tutti, e anche lui.
Il Dott. Cascavilla, il dottore del giochino “vola Gigino, torna Gigetto”.
Conobbi un’infermiera che, inizialmente, devo dire la verità, non godeva della mia simpatia (poiché era “quella” dei prelievi e delle punture)…pian piano però mi conquistò con la sua dolcezza e il suo modo gentile di relazionarsi, diventando l’infermiera del mio cuore.
A tutt’oggi è la mia infermiera di fiducia, l’infermiera che fa i prelievi e le punture senza far sentire alcun dolore.
A dirla tutta quest’infermiera di cui parlo mi conquistò anche perché al momento della dimissione aveva un piccolo dono per me. Questo consisteva in siringhe, flebo, cerotti e tutto l’occorrente necessario a fare di me una piccola infermiera.
Ma chi erano i miei pazienti?
Mia sorella non poteva fare da cavia e quindi una volta tornata a casa le bambole erano le mie vittime preferite. Su di loro riproducevo tutto ciò che durante l’ospedalizzazione veniva fatto a me.
Sono passata da essere “piccola peste” ad “infermierina ambulante”. Il tutto doveva essere quanto più possibile fedele alla realtà, anche il sangue. Lo sostituii con l’Alchermes. Il liquore dal colore rosso divenne il sangue delle mie bambole, e flebo e prelievi alle bambole divennero il mio gioco quotidiano.
La professione infermieristica aveva fatto colpo su di me. Passarono mesi, anni e i rapporti con medici ed infermieri divennero sempre più intensi. A San Giovanni Rotondo presso “Casa Sollievo della Sofferenza” creai la mia seconda famiglia: i medici divennero miei zii e gli infermieri miei cugini.
Da qui capii che nella mia vita avrei dovuto realizzare 3 desideri:
- GUARIRE e SCONFIGGERE lei, la mia malattia perché io ero sicuramente più forte;
- Diventare un giorno INFERMIERA;
- Lavorare in un ospedale ma non in un ospedale come tanti altri, lavorare in un ospedale dove, l’Amore prima di tutto;
Sapevo che per diventare un giorno infermiera avrei dovuto prima di tutto, vincere contro una leucemia, non era di certo una sfida semplice ma nulla mi fermò. Infatti, feci un bel carico di forza, di pazienza e di volontà e dopo circa 3 anni e mezzo, con le unghia e con i denti, mi ripresi la mia vita.
Sono super soddisfatta e fiera di me, ho vinto la sfida più grande della mia vita. Sapevo anche che tipo di infermiera volevo diventare, non un’infermiera qualunque ma un’infermiera come gli infermieri che si erano fin ora presi cura di me, coloro che mi hanno sempre considerata loro figlia e mai loro paziente.
Un’infermiera, che prima di esser tale è stata paziente, è consapevole del tipo di relazione da instaurare con la persona che ha davanti e cercherà sempre di soddisfare ogni suo bisogno al fine di rendere meno traumatica l’ospedalizzazione e l’accettazione dell’eventuale patologia.
L’essere stata paziente credo sia anche una forte testimonianza che può far spuntare, in quel tunnel buio, una stella luminosa.
“Se ce l’ho fatta io, ce la puoi fare anche tu!”
Arrivò la maturità e così finalmente avrei potuto realizzare il mio secondo desiderio: laurearmi in Infermieristica. Passai il test di ammissione presso l’Università degli Studi di Perugia e iniziai così il corso di laurea che da sempre avevo desiderato.
Il 25 novembre 2015 sono stata proclamata Dott.ssa in Infermieristica con la votazione di 110/110 e lode.
Attualmente sono in attesa di realizzare il mio terzo desiderio, ce la sto mettendo tutta!
Vi ringrazio per l’attenzione…
Una storia di grande determinazione, un esempio da seguire….siamo noi a ringraziarti Simona perchè sono le tue parole che ci confermano di aver fatto la scelta giusta! Ogni professionista porterà la tua storia di vita nel proprio quotidiano, siamo fermamente convinti che sarai nella tua vita professionale come la tua infermiera del cuore, che ha saputo trasmetterti l’amore verso i suoi pazienti, trasferendoti le fondamenta di questa nostra cara amata professione!!!
Grazie Simona per la tua testimonianza!!
Giuseppe Papagni
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