Iniziativa del Collegio Ipasvi per discutere degli scenari futuri: con i flussi migratori è cresciuto il numero di cittadini di altre religioni che si rivolgono al Servizio sanitario nazionale. “Gli infermieri, spiega Andrea Merlo, sono pronti ad affrontare questi cambiamenti”
PADOVA – C’è il referente del centro buddista “Tara Cittamani” e portavoce del dialogo interreligioso, Massimo Tommasi che spiega quali procedure bisognerebbe seguire, in ospedale, su una persona deceduta di religione buddista: “Per tre giorni – racconta – non si dovrebbe manipolare troppo il corpo per consentire che la coscienza non abbandoni lo stesso”. Ma c’è anche il medico di origine siriana e fede musulmana, Mohamad Riad Zabadneh, che evidenzia come “la malattia per un malato di fede islamica e un momento di aggregazione familiare e di lettura del Corano” anche se si è ricoverati in ospedale. “Nella cultura ebraica il malato ha l’obbligo di farsi curare” sottolinea Davide Sacerdoti, membro dell’associazione medica ebraica che aggiunge: “Gli ebrei consumano solo cibo kasher anche quando sono in ospedale e per questo bisognerebbe consentire di portare gli alimenti da casa”. Storie diverse che hanno fatto da filo conduttore, a Padova, nella giornata di studio su “Salute, religioni e culture”.
A metterle attorno allo stesso tavolo, in un appuntamento che ha i tratti del dialogo interreligioso, il Collegio Ipasvi di Padova sensibile ad una tematica figlia dei tempi che cambiano, con i flussi migratori che in Italia ha portato uomini e donne provenienti da 190 Paesi diversi e hanno fatto della provincia patavina terra multietnica. “Noi professionisti sanitari siamo sul pezzo – spiega il vice presidente dell’Ipasvi Padova e promotore del progetto, Andrea Merlo -. Siamo qui per costruire ponti di relazioni e per questo abbiamo voluto organizzare questo momento di confronto tra punti di vista diversi”.
Obiettivo raggiunto al termine di una lunga giornata scandita anche dai racconti di chi in ospedale (le infermiere soprattutto, ma anche i mediatori culturali) ha dovuto confrontarsi con pazienti di religione diversa. Storie crude ed emozionanti, illustrate dalla professoressa Valentina Rettore, del Dipartimento di Filosofia e Psicologia dell’Università di Padova che fotografano le difficoltà e, probabilmente, le lacune protocollari, con le quali devono fare i conti gli operatori sanitari quando, ad esempio, una paziente deve indossare il velo, nonostante si debba andare con urgenza in sala parto. Episodio tra i tanti, frutto di quella che il professor Salvatore La Mendola, docente di sociologia dell’università patavina, definisce “indagine osservazionale realizzata attraverso i focus group in ospedale”. E gli esiti della ricerca, spiega ancora La Mendola, ci consegnano un interrogativo di non facile risposta: “Siamo noi costruttori di ponti o aspettiamo che quel pinte lo costruisca qualcun altro?”.
Nel dubbio gli infermieri si affidano al buon senso, dimostrando di essere pronti ad affrontare la multiculturalità in sanità, chiosa Andrea Merlo. In Italia solo la Regione Lazio ha realizzato un opuscolo con le linee guida su come intervenire per le differenze di religione. Padova, però, si candida ad essere un laboratorio della multiculturalità in sanità.
Salvatore Petrarolo
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