Il Presidente del Collegio Ipasvi interviene dopo i controlli effettuati dai carabinieri dei Nas. Intanto anche gli infermieri in pensione adesso si rifiuterebbero di andare ad effettuare un prelievo a domicilio
BARI – I prelievi di sangue a domicilio erano una prassi consolidata anche in assenza di un regolamentazione del servizio da parte della Asl Bari.
I controlli avviati dai carabinieri dei Nas e dalla Guardia di Finanza, hanno scoperchiato la pentola di un fenomeno accettato in silenzio che necessita di una regolamentazione.
Il primo effetto di quanto accaduto la scorsa settimana (quando sono stati pizzicati infermieri del reparto di Emofilia del Policlinico di Bari nel contrattare la prestazione del prelievo di sangue a domicilio con tanto di tariffa da 20 euro) è che nessun infermieri, anche in pensione, vuole rischiare di finire coinvolto in questa vicenda, rifiutando la chiamata a casa per effettuare il prelievo.
Su questo bubbone, esploso la scorsa settimana, è intervenuto il presidente del Collegio Ipasvi di Bari, Saverio Andreula.
Intervistato dall’emittente pugliese Telesveva (vedi il servizio), Andreula ha ribadito la necessità di attendere gli esiti delle indagini che coinvolgono gli infermieri (e se venissero accertate delle responsabilità degli stessi, si valuteranno provvedimenti disciplinari); ma ha rilanciato la questione della libera professione infermieristica: “Dovrei chiedere a chi si occupa di questo – sono le parole del presidente del Collegio Ipasvi di Bari – come mai i medici possono esercitare l’attività di libera professione e, addirittura, nel rapporto di lavoro pubblico recarsi al domicilio del paziente per eseguire visite e trattamenti terapeutici e agli infermieri questo non è consentito.
Il prelievo del sangue è di fatto un esame strumentale ed è riconosciuto nell’abilità e nella competenza dell’infermiere.
Da questo punto di vista – propone Andreula – sarebbe possibile autorizzare gli stessi infermieri in ragione del principio non tanto della libertà di esercizio professionale, ma in base a quella definizione contrattuale che il paziente esprime.
Di fatto – ragiona Andreula – il paziente vede nel professionista (quindi nell’infermiere) la possibilità di avere un prelievo fatto a regolare d’arte, laddove si esalta il rapporto tra il professionista e il cittadino, così come avviene nella attività libero professionale esercitata dal medico”.
La questione, però, resta e i disagi, stando ai racconti che circolano in questi giorni, aumentano soprattutto per i pazienti che non hanno possibilità di recarsi nella struttura pubblica per effettuare un prelievo di sangue.
Salvatore Petrarolo
Foto: web
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