Riceviamo e pubblichiamo una nuova riflessione realizzata da Salvatore T., un giovane neolaureato in infermieristica.
Chi è Salvatore T.
Mi chiamo Salvatore T. e sono nato e vissuto a nord di Napoli. Ho 22 anni, ma mai avrei immaginato di arrivare a laurearmi con lode.
Di seguito le parole del collega:
L’Italia infermieristica è uno stivale con la suola corrosa dai chilometri. Da Milano a Bari, passando per Venezia, Torino, Parma o Roma. Non esistono più distanze per chi, dopo anni di studio, lavori mal-retribuiti o mai-retribuiti, ha come unica o massima aspirazione quella di poter lavorare, se possibile, nel paese che l’ha formato.
E non importa se vicino o lontano da casa. Siamo solo delle giovani anime affamate di lavoro ed esperienza, la stessa che viene richiesta ogniqualvolta si cerca un’occupazione, anche solo momentanea, che possa essere sufficiente a coprire le spese necessarie per raggiungere le sedi concorsuali di pertinenza.
Da tempo, infatti, ai costi relativi ai viaggi e ai pernottamenti, indispensabili per non rimanere vittime dei ritardi organizzativi causati dalle migliaia di persone in fila per consegnare un documento di identità, si aggiungono quelli relativi ai pagamenti dei contributi concorsuali, che negli ultimi anni hanno incrementato il loro valore in maniera esponenziale, fino ad arrivare alla somma di 10 o 15€ circa.
Spiccioli, se si prendono in considerazione le ingenti quantità di denaro perse dai candidati che si sono visti sbattere le porte in faccia a poche ore dagli inizi delle prove, a causa di ricorsi che, seppur leciti, hanno evidenziato una paradossale contraddizione nei sistemi organizzativo-concorsuali in ambito sanitario.
Una sanità, come quella italiana, che stressa e sottolinea ripetutamente i concetti di prevenzione, programmazione e gestione, non può non essere in grado di creare o affidarsi a sistemi di reclutamento di personale sanitario che possano prevenire i disagi organizzativi causati dall’enorme numero di partecipanti, evento anch’esso prevedibile e sicuramente vincibile attraverso una migliore programmazione e gestione delle modalità di selezione.
Il tutto a svantaggio di chi, come i giovani neolaureati (infermieri e non) italiani, dovrebbe sentirsi stringa e non suola di uno stivale sempre più scomodo, che affatica i piedi di una Europa che viaggia su strade diverse.
Avevo circa 7 anni quando nel 2002 venne convertito in legge il decreto relativo alle disposizioni in materia di personale sanitario. Non potevo sapere che questo documento legislativo aprisse le porte del mondo del lavoro ad un numero, impensabile ad oggi, di infermieri.
Era il periodo della ‘emergenza infermieristica‘, e un periodo in cui di ospedali ne giravo molti, a causa dei miei continui attacchi di asma.
Non potevo sapere che uno di quegli infermieri, pronto a somministrarmi ossigeno, nebulizzatori vari o corticosteroidi, avrebbe suscitato in me, 15 anni dopo, un sentimento nostalgico difficile da descrivere.
E adesso, che mi trovo a fare i conti, insieme ad altre migliaia di colleghi neolaureati, con una nuova emergenza infermieristica, dai caratteri opposti e a tratti poco rassicuranti, vorrei correggere tutti coloro i quali nutrono dubbi sul proprio futuro professionale, ricordandogli che non abbiamo sbagliato lavoro. Abbiamo semplicemente sbagliato epoca.
Salvatore T. ha concluso il proprio percorso formativo conseguendo il tanto ambito titolo di studio abilitante alla professione di Infermiere. Attualmente è in affiancamento in una RSA in provincia di Napoli. Ha partecipato ai concorsi di Milano, Genova, Torino e Venezia Mestre.
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