È accaduto a Bari. Il presidente di una onlus e sua moglie avevano affidato l’incarico a operatori senza alcuna abilitazione.
“Un potenziale pericolo per la salute dei pazienti”, i quali “venivano affidati a operatori sottratti a qualunque forma di controllo da parte dell’autorità sanitaria e, verosimilmente, privi di competenze”.
Operatori che effettuavano prelievi ematici a domicilio senza avere l’abilitazione professionale idonea (ovvero senza essere infermieri), per poi depositare le provette di sangue presso il Policlinico di Bari. Ma non solo. Per evitare “problemi” presentavano una copia delle carte di identità del paziente e dell’infermiere che, secondo quanto dichiaravano, aveva effettuato il prelievo.
Questo pericoloso abuso della professione infermieristica era perpetrato dagli operatori di una onlus che si occupava di effettuare prelievi domiciliari su pazienti affetti da patologie cardiocircolatorie. L’infermiera implicata suo malgrado nella vicenda, che collaborava saltuariamente con la onlus incriminata, non immaginava neanche lontanamente che il proprio nome e la propria “firma” venissero utilizzati in questo modo.
Al termine di una complessa attività investigativa, i carabinieri del Nas di Bari hanno denunciato il presidente dell’associazione onlus e sua moglie alla locale Procura della Repubblica. Una nota dei Nas riferisce che la coppia è stata accusata dei reati di falsità materiale commessa da privato, falsità ideologica e sostituzione di persona.
“Secondo la legge italiana il prelievo di sangue in vena deve essere eseguito da soggetti professionalmente preparati e secondo precise tecniche e metodologie. Il prelievo di sangue è, infatti, un intervento invasivo della sfera corporale della persona”. Così è riportato nella nota.
In barba alla legge, la onlus di cui sopra “per l’esecuzione dei prelievi biologici si avvaleva di ignoti operatori”. Chissà quali. E poi, “per dimostrare, al contrario, che erano effettuati da persona professionalmente qualificata, allegava alle provette di sangue copia del documento di un’ignara infermiera che saltuariamente collaborava con l’organizzazione”.
Non è di molto tempo fa la segnalazione di una collega di Roma che ci riportava un fatto simile (VEDI), purtroppo. Perciò mi domando: sarà un caso isolato? O in chissà quante associazioni, cooperative e altre aziende più o meno “controllate” i responsabili pensano di poter sostituire gli infermieri con chissà quali operatori, utilizzando poi il nome, la carta d’identità e anche la firma dei professionisti per celare l’abuso?
Alessio Biondino
Fonte: Responsabilità Civile
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