A parte le generiche dichiarazioni d’intenti, nessun partito ha un programma chiaro per ridurre le diseguaglianze regionali e locali.
Dal punto di vista etico, sociale ed economico è inaccettabile che il diritto costituzionale alla tutela della salute, affidato a una leale quanto utopistica collaborazione tra Stato e Regioni, sia condizionato da politiche sanitarie regionali e decisioni locali che generano diseguaglianze nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, alimentano sprechi e inefficienze e influenzano gli esiti di salute della popolazione.
«Un variegato elenco di variabilità regionali – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – dimostra che l’universalismo, fondamento del nostro Ssn, si sta inesorabilmente disgregando sotto gli occhi di tutti, anche di una politica miope che non intende restituire agli italiani un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione. Ecco perché il periodo pre-elettorale è il momento giusto per condividere coi cittadini alcuni numeri inquietanti, che testimoniano come il diritto alla tutela della salute sia ormai legata al cap di residenza, da cui dipendono anche forti differenze nei “prelievi” dalle tasche dei cittadini (ticket, addizionali Irpef)».
• Mortalità evitabile. Nel Rapporto Mortalità evitabile (con intelligenza) 2018 il Trentino Alto Adige conquista la prima posizione tra le regioni sia per gli uomini che per le donne, mentre la Campania resta inchiodata sul fondo di entrambe le classifiche, con Napoli ultima tra le province sia per gli uomini (30 giorni pro-capite perduti, rispetto ai 18,4 di Rimini in prima posizione) che per le donne (18 giorni pro-capite perduti, rispetto ai 10,4 di Treviso in prima posizione).
• Adempimenti livelli essenziali di assistenza (Lea). L’ultimo report del ministero della Salute, relativo al 2015, dimostra che il punteggio massimo della Toscana (212) è esattamente il doppio di quello minimo della Campania (106). Ciò significa che, a parità di risorse assegnate dallo Stato, l’esigibilità dei Lea da parte dei cittadini campani è pari al 50% di quelli toscani.
• Programma Nazionale Esiti (Pne). Le performance ospedaliere documentate dal Pne 2017 sono un variopinto patchwork di cui è possibile cogliere anche le sfumature, perché, oltre alle variabilità tra regioni, rileva quella tra singoli ospedali. Ad esempio la percentuale di parto cesareo primario, a fronte di una media nazionale del 24,5%, varia dal 6% al 92%. Quella di interventi chirurgici entro 48 ore nei pazienti ultra-65enni con frattura di femore varia dal 3% al 97% (media nazionale 58%). La mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto acuto del miocardio oscilla da 0% al 21% (media nazionale 8,6%). Gli interventi di colecistectomia laparoscopica con degenza post-operatoria inferiore ai 3 giorni, a fronte di una media nazionale del 72,7%, hanno un range tra i vari ospedali che varia addirittura da 0% a 100%.
• Mobilità sanitaria. Nel 2016 vale ben € 4,16 miliardi “spostati” prevalentemente da Sud a Nord. In pole position per mobilità attiva la Lombardia con € 937,8 milioni Fanalino di coda per mobilità passiva il Lazio con -€ 542,2 milioni. Il saldo della mobilità vede sempre la Lombardia in testa con un “utile” di € 597,6 milioni e fanalino di coda la Campania con un “passivo” di € 282,5 milioni.
• Spesa farmaceutica. Secondo il Rapporto Osmed 2016, pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco, la spesa convenzionata lorda pro-capite per i farmaci rimborsati dal Ssn oscilla da € 128,77 della PA di Bolzano ai € 219,18 della Campania (media nazionale € 175,25). Quella per i farmaci acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche da € 145,32 della Valle D’Aosta a € 240,64 della Campania (media nazionale € 195,84). La percentuale della spesa per i farmaci equivalenti, tra quelli a brevetto scaduto, varia dal 10,2% della PA di Trento al 3,9% della Calabria (media nazionale 6,2%)
• Ticket. Le regole applicate da ciascuna Regione hanno generato una giungla inestricabile, con differenze degli importi da corrispondere per farmaci e prestazioni e delle regole per le esenzioni. Dai ticket sanitari nel 2016 le Regioni hanno incassato € 2,86 miliardi, corrispondenti a una quota pro-capite di € 47, con notevoli variabilità regionali. Per i farmaci la quota oscilla da € 33,6 della Campania a € 15 del Friuli Venezia Giulia, a fronte di una media nazionale di € 24. Per le prestazioni sanitarie, di specialistica ambulatoriale e pronto soccorso, dai € 131 della Valle D’Aosta ai € 16,7 della Campania (media nazionale € 23).
• Addizionali regionali IRPEF. Per l’anno 2017 quelle minime oscillano dallo 0,70% del Friuli Venezia Giulia al 2,03% della Campania, mentre le addizionali massime dal 1,23% di PA di Bolzano, PA di Trento, Sardegna, Valle d’Aosta, Veneto e Friuli Venezia Giulia al 3,33% di Lazio e Campania.
Dal monitoraggio dell’Osservatorio Gimbe emerge che numerosi programmi elettorali dichiarano la volontà di risolvere le diseguaglianze regionali, richiamando l’articolo 32 della Costituzione e i principi di universalismo ed equità. Tuttavia le proposte concrete per garantire un accesso uniforme ai Lea da parte di tutti i cittadini sono veramente irrisorie. Non mancano addirittura programmi che, al contrario, puntano su un “rafforzamento delle autonomie locali” e su “maggiori autonomie delle Regioni”. Incomprensibili, infine, le dichiarazioni pubbliche di voler rimettere mano al Titolo V, in assenza di esplicite proposte in tal senso nel programma elettorale.
«Il prossimo esecutivo – conclude Cartabellotta –, senza necessariamente mettere in campo improbabili riforme costituzionali, ha il dovere etico di trovare soluzioni tecniche per potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui 21 sistemi sanitari regionali, nel pieno rispetto delle loro autonomie: dal monitoraggio più analitico degli adempimenti Lea a un ripensamento dei piani di rientro; dal collegamento tra criteri di riparto e sistemi premianti alla diffusione delle best practice regionali; dalla idoneità della Conferenza Stato-Regioni come strumento di raccordo tra Stato ed enti territoriali alla gestione della “questione meridionale”».
Fondazione Gimbe
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