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Infermieri: carenze presenti e future

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Infermieri: carenze presenti e future
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Tutti i dati relativi al drastico e costante calo di unità che caratterizza la professione.

Negli anni il numero di infermieri alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale è drasticamente e continuamente calato. Dal 2009 (anno dell’ultimo contratto e anno in cui sono iniziati i piani di rientro per le Regioni fortemente in deficit economico, quasi tutte del Sud) si sono perse 12.031 unità di personale, contro, ad esempio, i 7.731 medici.

Le perdite in entrambi le professioni hanno paradossalmente mantenuto costante il rapporto medici/infermieri (1:2,5), che a livello internazionale è convenzionalmente fissato in 1:3. Questo rapporto, tranne in tre Regioni, era nel 2016 (anno dell’ultimo Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato) sempre inferiore all’1:3, fino ad arrivare a 1:1,9 in Sicilia.

La carenza complessiva attuale è di oltre 20mila unità per poter fare fronte alle necessità legate al rispetto della normativa europea su turni e orari di lavoro nelle strutture del Ssn, e oltre 30mila unità per rendere efficiente l’assistenza sul territorio. Il suo aumento costante medio di 1.700-2.000 unità di personale l’anno fa ragionevolmente ritenere, a legislazione costante, una carenza tra cinque anni stimabile in circa 30mila infermieri nelle strutture pubbliche e circa 40mila sul territorio per un totale di quasi 70mila infermieri.

Per di più chi è in servizio è sempre più vecchio: l’età media degli iscritti agli Ordini è 45,6 anni; quella dei dipendenti del Ssn è 50,49, con differenze marcatissime nelle Regioni dove il blocco del turnover è totale (in Campania, tra iscritti all’albo e dipendenti, ci sono 8,9 anni) e minori in quelle a statuto speciale, che si comportano in autonomia (in Friuli Venezia Giulia la differenza è 1,38 anni a sfavore dei dipendenti), seguite dalle regioni Benchmark: in Emilia Romagna, Lombardia e così via.

Che la carenza di infermieri esista e sia negativa per la gestione dell’assistenza lo dice anche un altro dato. Secondo un recente studio pubblicato sul British Medical Journal e condotto presso alcuni ospedali inglesi, il tasso di mortalità risulta del 20% inferiore quando ogni infermiere ha in carico un numero di pazienti pari a 6 o meno, rispetto a quei contesti dove ogni singolo infermiere ha in carico 10 o più pazienti.

Un altro studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha sottolineato che il rischio di morte aumenta con l’esposizione a turni con ore di presenza infermieristica inferiori di almeno 8 ore rispetto al monte ore programmato, oppure con turni nei quali il turnover dei pazienti è molto elevato. Lo studio dimostra che il rischio di morte aumenta del 2% per ogni turno con presenze al di sotto del monte ore programmato e del 4% per ogni turno con elevato turnover.

Nel nostro Paese ogni infermiere ha in carico in ospedale in media 11 pazienti, e si raggiungono i 17 in Campania, mentre la situazione migliore nelle Regioni a statuto ordinario si riscontra in Veneto, Toscana, Liguria e Basilicata, dove ogni infermiere ha in media in carico 8-9 pazienti.

Sul territorio, per rispondere ai bisogni di salute degli oltre 16 milioni di cittadini con patologie croniche o non autosufficienza, la Federazione nazionale degli infermieri ha calcolato la necessità di almeno un infermiere ogni 500 assistiti (assistenza continua) di questo tipo: oltre 30mila in tutto, quindi, per poter erogare le prestazioni infermieristiche e di aiuto infermieristico previste a carico del Ssn anche nel Dpcm sui nuovi Lea e nel Piano nazionale cronicità.

La competenza sarebbe assunta con un preciso percorso universitario, oggi attivo già in 9 atenei e capace di portare alla formazione di circa 5.400 professionisti specializzati. Questo tipo di infermiere potrebbe intervenire nell’offerta di assistenza territoriale nelle case della salute, gli ospedali di comunità, dove può gestire direttamente persone con problemi di fragilità, in collaborazione con i medici di medicina generale.

La carenza di infermieri è considerata un grave rischio per i sistemi sanitari anche a livello internazionale. La campagna Nursing Now, avviata il 27 febbraio scorso dall’Oms e da Icn (il Consiglio internazionale delle infermiere), sottolinea anzitutto che senza interventi – necessari e urgenti – nel 2030 mancheranno nel mondo 9 milioni di infermieri. E aggiunge che è necessario migliorare la percezione degli infermieri, aumentare la loro influenza e massimizzare il loro contributo per garantire che tutti abbiano accesso alla salute e all’assistenza sanitaria.

La campagna Oms-Icn prevede di raggiungere, entro la fine del 2020, cinque obiettivi:

  1. Maggiori investimenti per migliorare l’istruzione, lo sviluppo professionale, gli standard, la regolamentazione e le condizioni di lavoro per gli infermieri.
  2. Maggiore e migliore diffusione di pratiche efficaci e innovative nell’infermieristica.
  3. Maggiore influenza per infermieri e ostetriche sulla politica sanitaria globale e nazionale, come parte di un più ampio sforzo per garantire che la forza lavoro della salute sia maggiormente coinvolta nel processo decisionale.
  4. Più infermieri in posizioni di comando e maggiori opportunità di sviluppo a tutti i livelli.
  5. Fornire ai responsabili politici e decisionali riferimenti per comprendere dove l’infermieristica può avere il maggiore impatto, cosa impedisce agli infermieri di raggiungere il loro pieno potenziale e come affrontare questi ostacoli.

Dalla conferenza stampa conclusiva del Congresso nazionale Fnopi

 

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