La vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero si è conclusa con un insperato lieto fine.
Il gruppo di adolescenti tra gli 11 ed i 16 anni rimasto intrappolato per 9 giorni in una grotta in Thailandia è stato raggiunto dal team composto da medici, infermieri, soccorritori e sommozzatori.
Il prof. Alberto Zangrillo, direttore del Servizio di Anestesia e Terapia intensiva dell’Ospedale San Raffaele di Milano, ha spiegato come abbiano potuto sopravvivere per quasi 10 giorni senza cibo.
Come si può sopravvivere tanti giorni in una grotta senza cibo?
«La resistenza del corpo umano è davvero imprevedibile, anche in condizioni estreme. Nel caso specifico di questa bellissima notizia, se confermata, voglio sottolineare due aspetti.
Il primo è la capacità di termoregolazione: nell’ambiente c’erano evidentemente condizioni di temperatura e umidità compatibili con tale esigenza.
In secondo luogo, mentre si può tollerare un periodo anche prolungato di astinenza dal cibo, è impossibile sopravvivere se non è garantita l’idratazione.
I ragazzini dunque hanno avuto la possibilità di bere. Anche l’acqua piovana permette di mantenere l’equilibrio elettrolitico, che garantisce il funzionamento di organi importanti, in primo luogo il cuore.
Il fatto che stiamo parlando di soggetti che praticano sport ha certamente contribuito alla conclusione positiva».
La mancanza di cibo potrebbe aver causato danni?
«Possiamo presumere che il digiuno non abbia prodotto alcuna grave conseguenza a livello organico, perché il metabolismo ha funzionato in modo rallentato: i bambini hanno vissuto in una sorta di letargo. Peraltro alcune funzionalità vitali non hanno bisogno di apporto calorico: pensiamo per esempio a quelle di reni e cuore».
Una volta estratti i sopravvissuti, che cosa si fa?
«Bisogna fotografare velocemente il loro equilibrio fisico-chimico — sottolinea Zangrillo —. Si fanno esami del sangue per verificare le funzionalità epatica, renale e cardiaca, quindi si ripristina l’adeguata temperatura corporea.
È probabile che ci siano delle alterazioni: si ricorre a supporti somministrati per via endovenosa, dopo di che si procede con la ripresa dell’alimentazione normale».
Simone Gussoni
Fonte: Corriere della Sera
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