Pubblichiamo qui l’eloquente sfogo di una giovane infermiera neolaureata garantendole, come da lei richiesto, l’anonimato. Trattasi di una delle tante (troppe) storie tristi che riguardano la professione infermieristica, il precariato e il motore dell’Italia che, al di là di proclami più o meno credibili da parte della politica, nella realtà dei fatti stenta non poco a ripartire
“Ebbene si, oggi sono qui a condividere con voi il mio pensiero.
Sono una giovane infermiera laureata che ha appena terminato un’esperienza di lavoro della durata di 8 mesi. Niente di speciale direte, eppure dall’ultimo giorno di lavoro ad oggi, qualcosa sta macinando dentro di me. Stavo bene nel reparto in cui ero, insomma, c’erano giornate pesanti e altre normali ma insomma stavo bene.
I colleghi erano gentili, la coordinatrice molto presente, ma… Solita problematica: contratto mensile. Per carità, io ringrazio l’agenzia (interinale) per avermi fatto lavorare ma… Come vi sentireste se una persona ti rinnovasse i suoi sentimenti solo mese dopo mese?
Usati, abbandonati a voi stessi, incerti per il futuro. Allora decidi di cambiare ‘amore’, di cambiare persona e ti fai ingolosire dalla prima offerta con un contratto trimestrale, con possibilità di assunzione presso un’altra struttura e lasci.
Provi un giorno, resti di stucco perché la nuova persona ti dichiara un amore più duraturo, ma nettamente più insoddisfacente, soprattutto disorganizzato, con poche risorse e che hai capito non essere ciò che fa per te; perché la geriatria non fa per tutti, lasci dopo un giorno e torni a casa con una bella crisi di pianto e tantissimo rimorso per aver lasciato quel posto in chirurgia.
Allora niente, inizi a mandare CV, chiami tutte le agenzie per il lavoro, anche delle province vicine, e tutte ti esprimono la stessa solfa: ‘Eh, non abbiamo posizioni aperte nelle strutture ospedaliere, stanno riempiendo con la graduatoria dei concorsi’, certo.
Ed io in quel concorso proprio non ci sono, perché mi sono appena laureata. E allora cosa fare? Niente, inizi a sperare che McDonald’s, Esselunga e altre catene notino la tua candidatura online, dici a te stessa che per arrangiare va bene e che magari grazie a questo ‘lavoretto’, potrai continuare a studiare e prendere il tuo amato master in area critica.
Passano giorni, e giri per altre agenzie, ti senti come una medicante. La vergogna di questo paese è che forse è più dignitoso chiedere l’elemosina che chiedere un lavoro, perché quando chiedi un lavoro sembra come se chiedessi la luna.
‘Vogliamo gente con esperienza’, ‘accettiamo solo apprendisti’, ‘è previsto un rimborso spese di 500€ con orario full time anche il weekend’, ‘solo co. co. co.’, ‘solo co. co. pro’, ‘solo partita iva’ ti dicono. Valuti l’estero, impieghi 2 ore per redigere il tuo CV in inglese ma non basta, devi avere un livello C1 di inglese, spendere soldi per avere una certificazione linguistica e poi forse, partire.
Insomma, sono una giovane infermiera laureata in un limbo che si chiama Italia. Oddio… Secondo Dante nel limbo ci sono anche alcuni eroi e scienziati, insomma c’è gente seria, ma il pane non si guadagna solo con la serietà. Eppure ho faticato tanto per avere quel ‘102′, ho rinunciato a concerti, serate, aperitivi e tanto altro che quelle della mia età durante l’università facevano e mi ritrovavo puntualmente sola con i miei libri, sognandomi e proiettandomi nella realtà che avevo sempre sognato. Realtà che forse, per noi giovani, in questo paese, non esiste.
Io resto comunque fiduciosa che qualcosa, nel mio ambito o in altri ambiti, ‘uscirà’. Ma sono disgustata e mareggiata. Intrappolata insomma. Come tanti altri colleghi.“
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