Chi viola le regole specifiche e non assegna il corretto codice di priorità in pronto soccorso può andare incontro a spiacevoli conseguenze sul piano legale.
Il sistema del triage rappresenta un tassello fondamentale nel processo di gestione dei pazienti che arrivano in pronto soccorso. Se non correttamente funzionante, può infatti comportare responsabilità anche gravi in capo all’infermiere addetto. Ecco perché quest’ultimo deve essere disciplinato in maniera adeguata.
Nelle linee guida sul triage intra-ospedaliero emanate dal ministero della Salute, il triage viene definito come “lo strumento organizzativo in grado di selezionare e classificare gli utenti che si rivolgono al pronto soccorso, in base al grado di urgenza e alle loro condizioni”. In pratica, si tratta di una prima visita, sommaria, durante la quale è assegnato al paziente un codice preciso, corrispondente alla gravità del suo stato. In genere, si fa ricorso a diversi colori, anche se non si tratta di una regola inderogabile: dal 1° gennaio 2019, ad esempio, nel Lazio saranno in vigore i numeri in luogo delle colorazioni.
Il triage deve essere garantito in maniera continuativa presso tutte le strutture sanitarie che hanno più di 25mila accessi l’anno. Per l’importanza che tale strumento riveste nella cura del paziente, gli deve essere assegnato un infermiere dotato di specifiche competenze, promosse attraverso un apposito programma formativo. I requisiti minimi che l’infermiere triagista deve possedere sono le seguenti:
- Laurea in infermieristica o titolo equipollente.
- Esperienza lavorativa in pronto soccorso di minimo sei mesi.
- Specifica formazione clinica, relazionale e sulla metodologia del triage.
Se la struttura conta più di 25mila accessi l’anno, l’infermiere addetto al triage deve dedicarsi in maniera esclusiva a tale funzione. Nelle strutture più piccole, invece, il triage può essere comunque previsto, ma il soggetto incaricato di gestirlo può svolgere anche altre funzioni all’interno del pronto soccorso.
Come detto, una corretta gestione del triage è fondamentale per evitare l’insorgere di colpa medica. Spesso è accaduto, infatti, che un’inadeguata, o addirittura omessa classificazione dei pazienti ha comportato responsabilità in capo al sanitario, con conseguenze anche gravissime.
Ad esempio, con la sentenza n. 18100/2017, la Corte di Cassazione ha sancito che l’infermiere che viola sia le linee guida del triage sia le regole di comune diligenza e perizia richieste a chi opera in pronto soccorso, e non assegna correttamente il codice di priorità, risponde del reato di omicidio colposo per il successivo, eventuale decesso del paziente, conseguente all’omessa tempestiva esecuzione di un esame diagnostico.
Dello stesso reato, come decretato dalla Cassazione penale nella sentenza n. 40036/2016, risponde anche il medico del 118 che, contattato telefonicamente dalla madre di un ragazzo in preda a una crisi epilettica grave, abbia violato i protocolli di settore e non abbia proceduto al triage telefonico per sincerarsi dell’urgenza dell’intervento. L’omicidio colposo, in particolare, si configura se i mezzi di soccorso sono stati inviati in ritardo e, a causa di ciò, il paziente è deceduto.
Sempre la giurisprudenza (Cass. n. 39838/2016) ha precisato che la procedura di triage ospedaliero è di competenza infermieristica e che di essa non risponde il medico di pronto soccorso. Nell’ambito dell’obbligo di garanzia gravante su quest’ultimo rientrano, piuttosto, l’esecuzione di alcuni accertamenti clinici, la decisione sulle cure da prestare al paziente e l’individuazione delle prestazioni specialistiche che si rendano necessarie.
Massimo Randolfi
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