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Rivoluzione 5G: una vita più “smart”, ma a quale prezzo?

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Rivoluzione 5G: una vita più “smart”, ma a quale prezzo?
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Riprendiamo un dossier del Fatto Quotidiano che evidenzia i possibili rischi per la salute derivanti dalle antenne ad altissima frequenza (e ignorati dall’Ue).

“Guardi, è fantastico: un drone volerà sopra i palazzi portando medicinali edevitando il traffico”, dice Paola Pisano, assessore all’Innovazione del Comune di Torino, mentre un drone vola sopra piazza Vittorio, spostandosi solo grazie a un computer e un segnale internet.

Il Comune di Torino ha firmato con Telecom, un Memorandum of Understanding per fare sperimentazioni 5G nella città di Torino che “si impegna a mettere a disposizione della Tim immobili di proprietà comunale e infrastrutture di proprietà delle aziende del Comune”.

Ma non finisce qui. A Torino ci sono anche sensori intelligenti nei cassonetti dell’immondizia per dire ai camion quando svuotarli. Nel porto di Bari i sensori sono in ogni container per riferire da dove è arrivata la merce o se il pagamento dei dazi è in ordine. Poi c’è l’ambulanza intelligente a Milano, con i medici che possono cominciare a curare un paziente a distanza E ancora: i robot nelle industrie telecomandati col wi-fi, invece che coi cavi, molto più costosi; i sensori super intelligenti nei palazzi all’Aquila, che al minimo tremolio chiudono i rubinetti del gas e lanciano l’allarme.

Per una vita più smart, più intelligente, ci saranno anche le auto senza conducente, i frigoriferi che dicono quando un alimento è scaduto, gli elettrodomestici che si azioneranno a distanza e i campi di grano che diranno al contadino quando devono essere annaffiati. È la rivoluzione 5G, non una semplice evoluzione dei nostri cellulari: passando dal 4G al 5G cambierà il nostro modo di vivere. “È l’internet delle cose – dice una portavoce Tim –. Tutto l’ambiente circostante sarà costantemente connesso”.

Il 5G ha quasi l’unanimità dei consensi: politica, istituzioni europee, industria e università plaudono alla trasformazione digitale, che si stima porterà 900 miliardi di crescita in Europa e 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro. Ma a che prezzo?

COS’È IL 5G. Quello che non ci viene detto è come si farà a trasmettere una quantità di dati mille volte superiore al 4G e a una velocità straordinaria, inferiore a un battito di ciglia. E soprattutto, con una moltitudine di campi elettromagnetici costantemente attivi, che effetto avrà il 5G sulla nostra salute e sull’ambiente.

Il 5G viaggia su frequenze altissime, mai usate finora, fino a 27,5 GHz, mentre con il 4G si arriva al massimo a 2,6 GHz. Quindi un’energia 11 volte superiore, ma che ha una “durata” di viaggio limitata. Queste onde vengono infatti facilmente assorbite dal terreno e sono “riflettenti”, non attraversano i palazzi. Quindi, per poter connettere tra loro fino a un milione di oggetti per chilometro quadrato, bisognerà installare migliaia di piccole antenne (ogni cento metri), che rilanceranno il segnale proveniente da un’antenna base più grande.

“L’intensità delle piccole antenne sarà inferiore a quella della stazione base”, dicono gli esperti del laboratorio Tim di Torino. Ma un ingegnere incontrato all’Aquila, tra i firmatari della petizione contro le antenne 5G (preferisce restare anonimo) spiega: “Anche se ogni singola antenna 5G avrà una potenza minore rispetto alle stazioni radio-base attuali, essendo infinitamente maggiori di numero sul territorio, non esisteranno più per l’uomo zone d’ombra, libere da radio frequenze. Questo fa sì che la densità di campo sul territorio, aumenterà in modo esponenziale. Oltre al fatto che le frequenze scelte per il 5G sono molto più alte, quindi con energie decisamente maggiori”.

Sul fronte salute, i sostenitori della rivoluzione 5G dicono anche che questo tipo di onde, chiamate “millimetriche”, viaggiando molto velocemente, riesce a penetrare solo la pelle in un organismo vivente. “Ma ammesso che sia così – spiega Dariusz Leszczynski, un ricercatore di fisica finlandese –, la pelle è il nostro organo più grande, pieno di cellule che regolano la risposta immunitaria. Se la roviniamo, la risposta immunitaria del corpo va in tilt”.

I RISCHI PER LA SALUTE. Il mondo accademico è diviso sulla pericolosità delle onde elettromagnetiche sull’uomo: da una parte, ingegneri e fisici riconoscono un effetto termico pericoloso (per esempio, se teniamo il cellulare all’orecchio per troppo tempo); dall’altra, biologi, oncologi e epidemiologi si battono perché vengano riconosciuti anche gli effetti non termici, quelli sulle nostre cellule.

“Un campo elettromagnetico – dice Francesca Orlando, dell’Associazione per le malattie da intossicazione cronica e/o ambientale – interferisce con il nostro sistema elettrico interno, alterando il funzionamento delle cellule, ma purtroppo ingegneri e fisici sono quelli più ascoltati oggi dai politici e dall’industria”.

Un’equipe di ricercatori australiani, come riporta la prestigiosa rivista scientifica Lancet in un articolo di dicembre, ha però analizzato 2.266 studi, arrivando alla conclusione che “nel 68% dei casi sono stati dimostrati effetti biologici e sulla salute umana per l’esposizione ai campi elettromagnetici”.

Nel 2018 sono stati pubblicati due studi importanti, durati dieci anni e finanziati con soldi pubblici. Il Dipartimento per la Sanità americano ha finanziato con 25 milioni di dollari il National Toxological Program (Ntp): 7mila topi da laboratorio sono stati sottoposti per tutta la vita a radiazioni corrispondenti all’intensità solo del 2G e 3G. Nello stesso tempo, l’Istituto Ramazzini di Bologna ha portato avanti la stessa ricerca, finanziata con contributi di privati cittadini, ma usando frequenze più basse, corrispondenti a 50 volt/metro (il picco a cui si può arrivare in Italia per rispettare la media giornaliera di 6 volt/metro).

I due studi sono arrivati alle stesse conclusioni. “Come negli Usa, abbiamo constatato un aumento statisticamente rilevante del numero dei tumori, rarissimi schwannomi, al cervello e al cuore”, spiega Fiorella Belpoggi, direttrice della ricerca all’istituto Ramazzini. “Bisogna agire in fretta, fermare l’avanzata del 5G e informare adeguatamente la popolazione sui rischi”, dice l’epidemiologa italiana che ha già lavorato sulle plastiche, sul glifosato, e che da 40 anni studia i legami tra tumori e ambiente. Belpoggi spera che, alla luce di questi due nuovi studi, l’agenzia dell’Oms sui tumori, la Iarc, riveda le sue priorità e metta le onde elettromagnetiche un gradino più su nella scala di pericolosità: da “possibili cancerogene”, come dichiarato nel 2011, a “probabili cancerogene”.

Ma la percentuale di topi ammalati è bassa: intorno al 2,4%. Quindi perché preoccuparci? “Se invece di 3mila topi ci fossero 3 miliardi di persone, quante avrebbero sviluppato un tumore? Abbiamo provato scientificamente il nesso tra radiofrequenze e cancro. In materia di salute umana i numeri non devono avere la meglio. Dovrebbe prevalere il principio di precauzione”.

L’APPELLO. Proprio in nome del principio di precauzione, 217 scienziati da tutto il mondo hanno inviato alle istituzioni europee un appello (The 5G Appeal) per una moratoria immediata sulle sperimentazioni del 5G perché “minaccia conseguenze serie e irreversibili per gli umani”. Chiedono di fermarle “fin quando la scienza non avrà studiato gli effetti di queste frequenze”. E si chiede ai Governi di “informare i cittadini sui campi elettromagnetici e i loro effetti, creare delle zone wiki-free in scuole, ospedali e centri di lavoro”.

La Commissione Ue, però, è sorda. A Bruxelles l’appello è stato rigettato con sdegno: “II principio di precauzione sembra una misura troppo drastica – scrive il capo gabinetto del Commissario alla Salute, Andriukaitis -. Ma resteremo vigilanti, se nuove prove scientifiche arriveranno”.

Intanto la Commissione ha stanziato 700 milioni in progetti di ricerca sul 5G, ma solo sulle applicazioni industriali. Niente salute. Bruxelles si basa sulle linee guida dell’Icnirp, un’agenzia privata con sede a Francoforte, punto di riferimento quando si parla di onde elettromagnetiche. Ma l’indipendenza dei membri dell’Icnirp, spesso finanziati dall’industria, è molto dubbia.

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Fatto Quotidiano

 

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