Riceviamo e pubblichiamo il contributo editoriale del dott. Filippo Ingrosso. Una riflessione puntuale e precisa sulla situazione infermieristica a vent’anni dalla legge 42/99
Una riflessione che condividiamo con piacere con tutti i nostri lettori.
Mi chiamo Filippo Ingrosso e sono un infermiere, laureato nel 2014.
Sembrava fosse necessaria una legge per far si che gli infermieri si accorgessero di avere una testa pensante.
La legge denominata “Disposizioni in materia di professioni sanitaria” non si limitava a modificare una definizione (da “Professione sanitaria ausiliaria” a “Professione sanitaria”), ma ampliava il campo delle responsabilità e dell’autonomia professionale ben oltre il cosiddetto mansionario. Essa inquadrava la figura dell’infermiere nel novero dei professionisti.
Cito testualmente: “Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie (…) è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonchè degli specifici codici deontologici…”, ciò stava a significare che da quel momento in poi occorre pensiero critico per poter svolgere questa professione, senza limitarsi a quanto scritto in un elenco di mansioni prestabilite. Sostanzialmente, il sapersi destreggiare nella pratica diviene insufficiente.
Se per gli infermieri vecchio stampo questa legge può aver generato disorientamento e, nei fatti, una sua limitata applicabilità sul campo, essa tuttavia ha rappresentato e rappresenta la base intellettuale per le nuove generazioni di infermieri.
Ad oggi, nonostante siano passati 20 anni esatti, quanto oltre ci si è spinti?
Sul piano professionale tanto, anzi tantissimo. Nonostante qualche reminiscenza che vorrebbe tenerci ancorati al vecchio ruolo di factotum, dalle nuove generazioni è partito l’input per poter creare uno stacco divisorio netto con l’obsoleta concezione del passato.
Qualche criticità maggiore si presenta nel contesto socio-culturale, in cui il mondo che ci osserva da fuori non sempre comprende l’enormità del nostro ruolo; soprattutto, non ne recepisce l’evoluzione intellettuale. A ciò si aggiunga come, a causa la natura disorganica della nostra professione per tempi e modi cui essa si è evoluta, non si riesce a dar sempre un’immagine coesa, coordinata e definita circa il nostro lavoro.
20 anni possono sembrare tantissimi, ma risultano estremamente pochi rispetto ai notevoli passi in avanti che ancora attendiamo di fare.
Tempo e fiducia non mancano.
Filippo Ingrosso
Lascia un commento