Emergono nuovi particolari sulla vicenda dell’esercito di infermieri abusivi assunti da decenni presso gli ospedali dell’ASL Napoli 1 Centro (leggi articolo)
Sarebbero centinaia gli infermieri dipendenti del San Giovanni Bosco, ospedale dei Pellegrini, ospedale Loreto Mare, ospedale San Gennaro e relativi distretti a non essersi mai iscritti all’Ordine delle Professioni Infermieristiche anche se, come specifica lo stesso OPI di Napoli, risulterebbero mancare all’appello oltre 10.000 infermieri nella provincia di Napoli che, seppur esercitando la professione, non si sarebbero mai iscritti all’albo professionale.
Sono giunte alla nostra redazione numerose testimonianze relative all’operato di questi infermieri abusivi, che riporteremo in forma anonima in questo articolo:
«Uno di questi “colleghi” mai iscritto viene utilizzato come oss, a disposizione del Cssa. Si occupa solo di barellaggio… Non sa neanche cosa sia un elettrodo…»
Un’altra infermiera racconta la propria “convivenza” con uno dei destinatari del comunicato dell’azienda.
“È davvero pericoloso essere in turno con colleghi del tutto incompetenti. In medicina d’urgenza capita spesso ad esempio che un paziente vada in edema polmonare. Il collega mi ha detto di non avere mai preparato una flebo e di non conoscere i farmaci. Basti pensare che per incannulare una vena costui chiama regolarmente gli anestesisti, e parlo di una vena periferica. Fu tolto dai turni perché i medici si ribellarono, ora fa solo mattine e circa 30 ore di straordinario al mese”.
Un’altra testimone descrive altri episodi alquanto assurdi: “Con me lavora un infermiere che è abilitato ad eseguire solo gli stick glicemici. Non è in grado di effettuare prelievi venosi, non sa utilizzare uno sfigmomanometro e non ha idea di come funzioni un pc. La coordinatrice lo utilizza per portare i documenti nei vari uffici, ad esempio i fogli presenza in direzione.”
Alcuni dipendenti sono intenzionati a rispedire le accuse al mittente, andando per vie legali.
“Una decina di loro vogliono impugnare il provvedimento, rivolgendosi ad un avvocato”.
Ma sarebbe un collega ormai in pensione a fare chiarezza sulle modalità di assunzione di quel periodo:
“Sono stati assunti perché appartenenti a gruppi di disoccupati organizzati. All’epoca dell’inaugurazione del Nuovo Policlinico, nel 1973, molti operai che avevano contribuito alla sua costruzione vennero assunti come infermieri, pur essendo privi di titoli. Se ciò non fosse accaduto, i movimenti di rivendicazione operaia, avrebbero impedito l’apertura del nosocomio, rivendicando il diritto al lavoro. La situazione migliorò solo negli anni ‘90, quando vennero assunti anche dei veri infermieri.”
Secondo le testimonianze ricevute dunque, queste persone sarebbero state dapprima inquadrate come infermieri generici, per poi essere con il tempo promosse sul campo, fino a raggiungere la categoria economica D6 o diventare coordinatori infermieristici (allora definiti “caposala”), ottenendo un lauto stipendio con maggiorazioni che possono tutt’oggi arrivare anche oltre i 5.000 euro lordi all’anno.
Molti di questi infermieri si sarebbero giustificati nel corso degli anni, dicendo che al momento della loro assunzione, avvenuta a fine anno ‘70, non vi fosse l’obbligo di iscrizione all’albo. Per questo motivo starebbero valutando la possibilità di rivolgersi ad un legale per intentare una causa contro l’azienda stessa, ritenuta da loro colpevole di non volerli mandare in pensione senza iscrizione all’Ordine.
Ma cosa dice la normativa in vigore?
Abbiamo interpellato il Consiglio Direttivo dell’Ordine delle Professioni infermieristiche di La Spezia, per avere ulteriori delucidazioni in merito.
”Effettivamente, analizzando la storia dell’obbligatorietà dell’iscrizione, scopriamo come solo nei primi anni ‘80, grazie al decreto ministeriale della Sanità, 30 Gennaio 1982 (Normativa concorsuale del personale delle unità sanitarie locali in applicazione dell’art. 12 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761), diventi requisito fondamentale essere iscritti all’albo per poter essere ammessi ai concorsi ed essere assunti dalle pubbliche amministrazioni.
Va però detto che, in quegli anni, qualora un infermiere non restasse in regola con l’iscrizione all’albo, pur venendo cancellato, potesse poi tranquillamente continuare a lavorare. La prima norma definitiva e chiara è la legge 43 del 2006 che ribadisce con una chiarezza devastante per l’ordinamento legislativo italiano come tutti i professionisti che dispongano di un albo professionale devono esservi iscritti. La legge 3 del 2018 ribadisce questo obbligo estendendolo a tutte le professioni sanitarie.”
La leggenda vuole che, il primo decreto ministeriale del 30 gennaio 1982, fosse stato prodotto perché un’alta dirigente dell’allora Federazione Ipasvi (oggi FNOPI) fosse moglie di un sottosegretario che avesse introdotto una normativa dedicata.
Ma in tutti questi decenni, l’azienda sanitaria locale napoletana avrebbe dovuto effettuare dei controlli?
“L’azienda ha la convenienza di verificare la correttezza della posizione dei propri dipendenti, nel rispetto della legge 3 del 2018 proprio per evitare eventuali sanzioni da parte degli organi di controllo. Qualora dovesse scoprire infermieri non in regola con l’iscrizione o con i pagamenti della quota annuale, avrebbe l’obbligo di sospenderli immediatamente, finché la loro posizione non venga regolarizzata.
Accadde un caso analogo a La Spezia nel 2009, che spinse praticamente tutte le aziende ospedaliere ad effettuare dei controlli”, conclude OPI La Spezia.
Occorre specificare che chiunque possa verificare l’effettiva iscrizione di un infermiere all’albo in circa 10 secondi, inserendo il nome e cognome del professionista sul sito della FNOPI.
Vedremo come evolverà questa situazione, ora che è scaduto l’ultimatum di 15 giorni concesso a questo esercito di infermieri abusivi prossimi alla pensione.
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