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Autismo, a Salerno arriva il laboratorio di videoterapia

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Salerno, bimba nasce prematura: salvata dall’equipe del reparto Tin
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L’Azienda ospedaliera universitaria Ruggi propone un approccio innovativo ai disturbi dello spettro autistico.

L’Azienda ospedaliera universitaria Ruggi di Salerno ha inaugurato l’ambulatorio dedicato esclusivamente alla videoterapia e al therapeutic film-making per i disturbi dello spettro autistico. Il progetto nasce all’Università degli Studi di Salerno dal lavoro di ricerca sull’efficacia delle immagini di Anna Chiara Sabatino, 28 anni, dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e regista di documentari. Sabatino, insieme a Valeria Saladino, 29 anni, psicologa e dottoranda all’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, e a Grazia Pastorino, 36 anni, specializzanda in Neuropsichiatria infantile presso l’Aou Salerno, ha costituito il primo nucleo di un gruppo di ricerca per lo sviluppo di un progetto sperimentale interdisciplinare.

Basandosi sulle teorie e sulle pratiche più avanzate della medicina narrativa contemporanea, che pone al centro la comunicazione, la narrazione e la comprensione delle diverse storie di quanti intervengono nella malattia e partecipano al processo di cura, l’equipe ha elaborato e proposto un primo studio clinico, che già vede l’approvazione del Comitato etico Campania Sud e dell’Istitutional Review Board dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale.

Secondo una metodologia innovativa, che coniuga le tecniche del documentario partecipativo e del counseling strategico breve, il team segue costantemente con le macchine da presa le azioni e le comunicazioni tra i partecipanti, osservando così da vicino le dinamiche familiari e mostrando poi loro le problematiche comportamentali su cui è necessario intervenire. I genitori sono coinvolti in prima persona in sedute di parent training e i giovani pazienti sono incitati a diventare sceneggiatori, registi e protagonisti di un cortometraggio autobiografico, definito videofarmaco, che racconta la storia della loro esperienza di cura.

Il therapeutic film-making, ossia il processo di fare il film in cui i partecipanti sono coinvolti, è l’elemento metodologico più innovativo e allo stesso tempo più efficace del protocollo proposto dal giovane gruppo di ricerca. Gli outcome valutati prima e dopo la partecipazione al progetto sono stati estrapolati dalla somministrazione di test standardizzati che hanno tenuto conto di diverse aree. “Di sicuro – spiegano gli ideatori –, quello che possiamo definire miglioramento delle prestazioni ha riguardato le aree sociali, della comunicazione, dell’adattività e l’impatto sul sistema famiglia”. Il gruppo di ricerca ha concluso con successo i primi trattamenti e sta adesso lavorando per ampliare il campione.

Redazione Nurse Times

Fonte: La leggere per tutti

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