Proponiamo un nuovo contributo della nostra collaboratrice Milena Mazzone.
Si sa, da sempre l’immagine di un bambino malato è difficile da accettare. Il suo mondo cambia, il mondo dei famigliari e di chi gli sta vicino cambia, il ricovero rompe gli equilibri precedenti. Col tempo, spesso, si riesce a integrare l’esperienza della malattia, ma ciò non è così immediato. Ed è per tale ragione che è nata la “medicina del sorriso”, creata da un team di dottori speciali o clown dottori, che operano esclusivamente in regime di volontariato e con una specifica formazione teorico-pratica, mirata all’ambiente socio-sanitario, nel rispetto di tale ambiente e di chi, a vario titolo, vi si trova.
Il clown dottore è presente in reparto per aiutare a gestire al meglio il disagio fisico e psicologico del piccolo malato e dei suoi cari, e per migliorare l’atmosfera che il reparto ospedaliero infonde, rendendolo meno traumatico. Agisce rigorosamente in coppia o in gruppo, nel rispetto della dignità del bambino e dei suoi famigliari, mediante la comicoterapia attiva. Favorisce, cioè, l’espressione della comicità e dell’umorismo delle persone del gruppo.
La risata – è ormai scientificamente provato – ha un effetto terapeutico che rende più rapido il percorso di guarigione. Ridere è un esercizio muscolare che, oltre a rilassare i muscoli, provoca un fenomeno di liberazione e purificazione delle vie respiratorie. Ha effetti analgesici, favorendo la produzione di endorfine. Migliora la circolazione, rafforza il sistema immunitario e ha effetti benefici anche sul ritmo cardiaco. Oltre, ovviamente, a prevenire la depressione.
Ma come si riesce a far ridere un bambino in ospedale? Queste buffe figure dai camici colorati e dai nasi rossi, aiutano a vincere, attraverso il gioco, la paura dei medici e ad aprire uno spiraglio nella malattia, trasmettendo la possibilità di continuare a utilizzare la propria capacità di incontrarsi con gli altri, attraverso un “tempo di festa” in cui divertirsi insieme, scambiandosi esperienze. L’arrivo del clown dottore è sempre chiassoso e senza regole. Accompagna, sostenendolo, il bambino ospedalizzato nei percorsi terapeutici, mutandolo in un gioco in cui è il bambino stesso a decidere le regole, rendendolo meno drammatico.
Favole, racconti fantastici, giochi di gruppo: attraverso questi strumenti i clown dottori riescono a fare appello all’immaginario dei giovani pazienti per sfuggire alla realtà quotidiana ospedaliera. Può capitare che soprattutto i bambini più piccoli siano spaventati dall’arrivo di questi buffi medici o, talvolta, che il dolore psico-fisico che in quel momento stanno provando sia troppo forte da permettergli di vivere con serenità il momento di gioco. In questi casi il clown dottore mostrerà al paziente il suo sostegno attraverso un timido gesto, come semplicemente sorridergli con dolcezza o ricreando delle bolle di sapone in lontananza.
Anche il percorso chirurgico costituisce un momento di grande ansia per il 60% circa dei bambini. Per svariati motivi, quali la difficoltà ad addormentarsi per paura di staccarsi dai genitori, la paura per l’ambiente estraneo che lo circonda, l’incomprensibilità della necessità dell’intervento a cui sta per sottoporsi. In questo caso, il clown dottore, per quantificare l’ansia pre-operatoria dei piccoli pazienti, si avvale di uno strumento specifico: m-YPAS (Modified Yale Preoperative Anxiety Scale), una scheda di osservazione elaborata negli Usa. La scheda, costituita da cinque item, è di facile applicazione e si basa sull’osservazione del comportamento del bambino nelle due fasi che precedono l’operazione, l’attesa e l’induzione, e permette di valutare in senso quantitativo l’ansia vissuta dal bambino. Dallemisurazioni nei bambini accompagnati durante il percorso operatorio dai dottori speciali è emerso un dato più che significativo: l’ansia è calata del 50%.
La maschera del clown permette dunque di porsi in quel confine tra reale e immaginario, dove tutto è possibile, come ridere di ciò che in realtà è triste. A tal fine vengono trasformati in oggetti divertenti quelli che creano dolore, come la flebo, e si ironizza su termini che normalmente terrorizzano, come “esame diagnostico”. Il tutto coinvolgendo i famigliari, che saranno a loro volta più sereni. Ciò rende l’ambiente ospedaliero a misura di bambino, e quindi minor fonte di spavento. Si aggiunga il fatto che il coinvolgimento degli operatori sanitari riduce nel bambino la diffidenza verso quest’ultimi, rendendoli meno ostili ai suoi occhi.
Milena Mazzone
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