È allarme ospedali pubblici: medici e infermieri (ma non solo) in corteo a Parigi e altre città. Chiedono più soldi e lo stop al taglio dei letti.
Un fiume lungo e tranquillo di camici bianchi, da Port Royal agli Invalides, per denunciare lo “stato di emergenza dell’ospedale pubblico”. Dai primari agli infermieri, dagli amministrativi agli studenti di medicina, ieri a Parigi (ma anche in molte grandi città di provincia) ha avuto luogo una delle più grandi manifestazioni di protesta del settore sanitario pubblico degli ultimi anni. Non una manifestazione di categoria, ma un grido di allarme su uno dei pilastri del welfare, che riguarda tutti i cittadini.
Erano mobilitati 268 ospedali, molti già in stato di agitazione da settimane, e tutti i sindacati erano presenti nei cortei. Due le principali richieste: aumento di 300 euro per tutti (che equivale a 3 miliardi di euro) e fine del taglio dei letti. Un appello, pubblicato su Le Monde e firmato anche da molti primari, alla vigilia della giornata di cortei ha puntato il dito contro tutti i mali che colpiscono questa istituzione centrale nel sistema sanitario, ormai “in pericolo di morte”. L’ospedale pubblico soffoca, i pazienti si rivolgono sempre più al pronto soccorso, mentre il numero dei letti diminuisce. Ci sono difficoltà ad assumere medici e infermieri, che si tirano indietro di fronte al carico di lavoro sempre più pesante e a stipendi che non seguono.
La ministra della Sanità, Agnès Buzyn, è medico e ha passato la vita in ospedale. Ma oggi temporeggia: ha promesso un “piano di sostegno” entro fine mese, “migliori investimenti”, un aumento degli stipendi, ma la morsa della ricerca dell’equilibrio di bilancio (anche se la Francia ne è ben lontana) e la ricaduta in termini di austerità sulla sanità stanno chiudendo un sistema che resta eccellente in un vicolo cieco.
Un medico nel corteo parigino riassume la situazione: «Manifestare non è nei nostri geni, ma il degrado delle condizioni di lavoro ci obbliga. Da 15 anni le riforme hanno trasformato l’ospedale in impresa». Emmanuel Macron ha dato una prima risposta ieri. Ha annunciato che ci sarà un «piano d’emergenza» per gli ospedali, diventati «il luogo dove tutte le difficoltà si sono accumulate», in tempi «celeri». Mercoledì prossimo sarà il primo ministro Edouard Philippe a precisare i dettagli di un maggiore «margine di manovra finanziario», un principio di vera «riorganizzazione» per liberare il tempo dei medici (dalla burocrazia), dare «maggior spazio» al personale sanitario. In tempi brevi «un investimento più forte e più massiccio» negli ospedali pubblici per calmare la collera.
La situazione sociale – l’aumento delle diseguaglianze, della povertà – si riversa sull’ospedale, che non ce la fa più a seguire. Prima del 1970 l’ospedale era ancora organizzato secondo vecchi criteri paternalistici. Quell’anno una nuova legge impone agli ospedali pubblici l’obbligo di ricevere i malati 24 ore su 24. Il servizio del pronto soccorso verrà poi istituzionalizzato con precisione solo nel 1989, ma già due anni dopo si avvia la separazione tra il pronto soccorso e i vari servizi specialistici. Nel 1995 nascono le agenzie regionali di ospedalizzazione, ma, invece di decentrare davvero, l’allora primo ministro Alain Juppé impone agli ospedali «progetti compatibili» con gli «obiettivi nazionali» decisi dal Governo (il 1995 è stato l’anno del grande sciopero delle ferrovie e del trasporto pubblico contro la riforma delle pensioni: parallelo che fa venire i sudori freddi al discepolo di Juppé, Emmanuel Macron, che il 5 dicembre dovrà far fronte all’inizio di un altro importante sciopero nelle ferrovie e del trasporto pubblico, sempre contro la riforma delle pensioni).
Nel 2001, il socialista Lionel Jospin introduce il Pds (permanenza delle cure), che coinvolge i medici della professione liberale nell’obbligo di fornire accoglienza giorno e notte. Ma quando la destra torna al potere questo obbligo viene eliminato per compiacere le richieste del settore privato. Di qui l’esplosione del ricorso al pronto soccorso, perché l’ospedale pubblico rimane il solo luogo aperto (secondo l’Ocse il 20% dei ricorsi al pronto soccorso non sono necessari e basterebbe una migliore coordinazione con i medici liberali per evitarli). Nel frattempo, l’introduzione delle 35 ore all’ospedale avviene nel disordine.
Con Nicolas Sarkozy viene fatto l’ultimo passo: l’ospedale diventa un’impresa, deve rispettare un bilancio, quindi tagliare i costì. Il sistema di sfarina: oggi ci sono differenze del 45% sulla presenza di ospedali pubblici a seconda delle regioni (la media è di 16,3 presidi ospedalieri ogni mille abitanti, ma si va dai 25 di Parigi città ai 9 di certe banlieues dell’Ile-de-France, mentre le zone rurali risultano meglio servite, malgrado l’esistenza di alcuni “deserti” medici nelle regioni meno abitate).
La privatizzazione del sistema sanitario è in corso: «Ci sono stati 67 pronto soccorso pubblici chiusi – denuncia la parlamentare della France Insoumise, Caroline Fiat, che è aiuto infermiera –, mentre 163 hanno aperto nel privato». Negli ultimi mesi, nei 35 ospedali pubblici della regione parigina, sono stati tagliati 900 letti perché manca il personale medico e infermieristico. I contratti sono sempre più a tempo determinato. Nel frattempo le cliniche private, sempre più affiliate a grandi gruppi internazionali, prosperano. Nei mesi scorsi c’era stata una forte mobilitazione tra gli infermieri delle case di riposo, che denunciavano una deriva simile a quella vissuta dall’ospedale pubblico.
Redazione Nurse Times
Fonte: il manifesto
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