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“L’omeopatia è una non cura pericolosa”: sono già 57 gli ospedali italiani ad averla bandita

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“L’omeopatia è una non cura”: sono già 57 gli ospedali italiani ad averla bandita
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Sono già 57 gli ospedali italiani ad avere definitivamente bandito l’omeopatia dalle proprie corsie ed ambulatori. Tra i più noti troviamo l’Istituto Europeo di Oncologia fondato da Umberto Veronesi ed il Policlinico Gemelli.
L’elenco delle strutture che si uniscono ai demonizzatori dell’omeopatia sembra essere destinato ad allungarsi notevolmente.

L’iniziativa nasce dall’imprenditore della Sanità Nicola Bedin, 42 anni, che ha deciso di raggruppare le strutture ospedaliere che bandiscono le cure omeopatiche tra le loro mura. 
Da sabato scorso campeggian sulla home del sito no-omeopatia, la frase del premio Nobel Rita Levi Montalcini: «L’omeopatia è una non cura, potenzialmente pericolosa, perché sottrae i pazienti da cure valide». 

Diversi movimenti scientifici hanno aderito come il Patto per la Scienza e la Fondazione Gimbe. Dopo un passato da manager ai vertici del Gruppo ospedaliero San Donato e del San Raffaele di Milano, all’inizio del 2018 ha fondato la società Lifenet Healthcare che oggi conta tra le sue proprietà il Piccole Figlie Hospital di Parma, gli ambulatori polispecialistici del Centro Medico Visconti di Modrone di Milano, del CeMeDi di Torino e del Lazzaro Spallanzani di Reggio Emilia, le due cliniche oculistiche Eyecare.

Riportiamo di seguito l’intervista rilasciata da Bedin per il “Corriere della Sera”.

Perché mobilitarsi sull’omeopatia?
«Abbiamo deciso di far sentire la nostra voce a tutela delle persone malate, per evitare che cadano in equivoci e credano che l’omeopatia sia una pratica efficace che sostituisce le vere cure. Non è così, come decenni di studi comparativi hanno dimostrato».

Da dove parte la vostra posizione? 
«La Federazione nazionale degli Ordini dei medici ha dichiarato che “non ci sono prove scientifiche né plausibilità biologica che dimostrino la fondatezza delle teorie omeopatiche”. E non cito altre dichiarazioni in tal senso di scienziati come Umberto Veronesi, Silvio Garattini, Alberto Mantovani».

È in cerca di polemiche?
«No, tutt’altro. Credo anzi che sia un’iniziativa doverosa. Abbiamo il dovere di rispettare le persone malate, e non esporre i meno informati al rischio di confondere questa pratica con terapie efficaci. Chi vuole utilizzare preparati omeopatici è libero di farlo. Ma non deve succedere in ospedali e ambulatori medici». 

L’omeopatia però è diffusa.
«Aggiungo che oggi i preparati omeopatici in Italia sono fiscalmente detraibili. La Fondazione Gimbe ha stimato che questo provoca uno spreco di risorse pubbliche pari a 50 milioni l’anno. Questi 50 milioni potrebbero invece essere impiegati in modo virtuoso, risolvendo un problema come la carenza di medici. Si potrebbero formare duemila nuovi specializzandi. I posti oggi sono ottomila: diventerebbero diecimila, il 25% in più. Se si ha a cuore il futuro del Paese non si può non fare questi ragionamenti». 

Da manager a imprenditore. L’iniziativa no-omeopatia.it è frutto anche della sua nuova vita?
Di fronte a importanti opportunità professionali a inizio 2017, mia moglie, che mi conosce bene ed era incinta del secondo figlio, mi ha fatto una domanda cruciale: “Ma tu cosa vuoi veramente fare?”. “Io voglio fare l’imprenditore”. “E allora fallo”, mi ha risposto guardandomi negli occhi. Non ho più avuto remore, nonostante si trattasse di partire da zero. Di pari passo ritengo importante mettere la faccia su ciò in cui si crede». 

Non le manca il San Raffaele, che ha risanato dopo il buco da 1,5 miliardi di euro?
«Il San Raffaele è un posto straordinario. Un patrimonio del Paese. Credo che la figura di don Verzé debba essere rivalutata e ricordata. È stato un visionario. La compresenza di ospedale, centro di ricerca e università ha dato luogo a un modello che è moderno ancora oggi. La sera del mio ultimo giorno lì, l’11 settembre 2017, nell’andarmene ho percorso a piedi un tragitto lunghissimo, come se qualcosa mi stesse trattenendo lì. Quella camminata finale sembrava non finire mai. Ma fare l’imprenditore è stato qualcosa più forte di me. Ho poi cercato di fare tesoro di tutte le cose che negli anni ho imparato».

Un esempio?
«Il grande imprenditore Bernardo Caprotti citando il generale von Clausewitz una volta mi disse: “Nel successo sta il germe della sconfitta”. Intendeva dire che non bisogna mai rilassarsi nella convinzione di essere arrivati. Ma lavorare sempre guardando avanti, con senso di responsabilità».

Simone Gussoni

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