Rilanciamo l’intervista realizzata da Rcs Salute con Mario Messina, direttore del reparto di Chirurgia pediatrica del Policlinico Santa Maria alle Scotte.
All’ospedale di Arezzo un neonato, a causa di un’ernia diaframmatica, è venuto alla luce con gli organi addominali all’interno del torace. Il piccolo è stato trasferito al Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, dove l’equipe di Chirurgia pediatrica, diretta da Mario Messina, ha eseguito un intervento mininvasivo in toracoscopia per riposizionare l’intestino e il colon nell’addome. L’ospedale senese è uno dei pochissimi centri in Italia ad avvalersi di questa tecnica chirurgica, che consente l’esplorazione visiva del cavo pleurico. Di seguito l’intervista col dottor Messina.
– Quanto è comune imbattersi in un’ernia diaframmatica?
Andiamo su 1 caso su ogni 4-5 mila nati. È di tipo congenito e rientra nella categoria delle malattie rare. Noi, nell’area vasta di cui ci occupiamo con circa 1 milione di abitanti, su 5000 nuovi nati all’anno forse ne incontreremo un solo caso.
– Avete già effettuato questo tipo di intervento su un neonato con la stessa patologia in passato?
Certo. Di ernie diaframmatiche ne abbiamo operate tante. È il mondo con cui vi approcciamo adesso che è diverso. L’intervento viene effettuato in toracoscopia, cioè attraverso il torace, ma senza taglio. Mi spiego meglio: effettuiamo tre buchi, uno da 5 mm in cui inseriamo un’ottica rigida, e due da 3 mm in cui inseriamo gli strumenti per poter lavorare. Tra le altre cose, siamo pochissimi in tutta Italia a operare in toracoscopia.
– Un intervento mininvasivo dunque, che agevola notevolmente il neonato anche nel percorso post-operatorio.
I vantaggi sono enormi: ospedalizzazioni più ridotte, minore dolore post-operatorio e una ripresa funzionale più rapida. Tuttavia, non è facile approcciarsi a un neonato in toracoscopia. Abbiamo ancora un alto tasso di mortalità per ernia diaframmatica (precedente all’operazione, che al contrario si rivela un successo nel 100% dei casi) che si aggira intorno al 40-60%. Il problema più grave per questi neonati è la non completa formazione del polmone, cioè un’ipoplasia polmonare, dovuta all’ernia: la malformazione avviene tra la quarta e la sesta settimana di gestazione, nello stesso periodo in cui si formano i polmoni, quindi l’ernia, che fa fuoriuscire le viscere dall’addome facendole convergere nel torace, ne impedisce il normale sviluppo. Proprio per questo motivo non effettuiamo l’intervento correttivo subito dopo la nascita, ma aspettiamo circa 48-72 ore, per dare la possibilità al bambino di adattarsi alla respirazione esterna.
– E se non dovesse adattarsi?
Se la CO2 è superiore al 100% o il ph del neonato altissimo, non procediamo con l’intervento. Noi lo aiutiamo, ma se entro questa tempistica non si adatta è inutile operarlo, non avrebbe possibilità di sopravvivenza.
– Come si fa a giudicare un neonato idoneo alla toracoscopia? Da cosa dipende?
Non tutti i neonati possono essere operati con questa tecnica. Il lavoro degli anestesisti in questo caso è fondamentale. Per fare un esempio: su quattro operazioni in toracoscopia organizzate, soltanto due sono state portate a termine. Negli altri due casi abbiamo dovuto convertire gli interventi in open, cioè effettuare il taglio addominale. Dipende dal buon grado di respirazione del neonato. Mentre operiamo, la posizione che assumiamo potrebbe mettere in difficoltà la respirazione del bambino al punto tale da dover necessariamente procedere al taglio chirurgico.
– Il bambino è nato nell’ospedale di Arezzo, ma poi è stato prontamente trasferito a Siena.
Sì, il bambino è nato ad Arezzo, ma hanno capito subito che qualcosa non andava. Così i nostri neonatologi (di Arezzo) lo hanno stabilizzato, lo hanno messo in sicurezza, e da Siena è partita un’ambulanza attrezzata per il trasporto neonatale. Lo hanno portato qui da noi e da quel momento sono stati effettuati tutti gli esami del caso, il neonato è stato monitorato per 72 ore e, dopo una riunione collegiale tra il chirurgo neonatale, l’anestesista e il neonatologo, abbiamo deciso quale sarebbe stato il momento migliore per operarlo.
– La patologia può essere individuata durante la gestazione. In questo caso non se ne erano accorti?
Avevano notato qualcosa da un’ecografia, ma non avevano capito quale fosse esattamente il problema. Se ne fossero stati consapevoli, il parto sarebbe avvenuto direttamente in un centro che si occupa di questo tipo di interventi, come Siena.
– Il decorso post-operatorio del neonato come si è svolto?
È andato benissimo! Il bambino dopo 8 giorni aveva già ripreso ad alimentarsi, respirava autonomamente e a 12 giorni dall’operazione è stato dimesso. Sta bene. Un successo incredibile, siamo molto soddisfatti.
– È stato un vero lavoro di squadra.
A operalo sono stati Francesco Molinaro e Rossella Angotti, insieme all’anestesista Tommaso Bacconi e agli infermieri Roberta Piazzi e Angelo De Lucia, con tutto il personale di sala operatoria. In generale, la componente chirurgica è importante, ma altrettanto importanti sono la componente anestesiologica, la TIN (Terapia intensiva neonatale), gli infermieri esperti, i neonatologi il cui lavoro è fondamentale sia nel preoperatorio (quando il bambino deve essere stabilizzato), che nel post-operatorio. Un team la cui forza sta nella multidisciplinarietà. È solo insieme che possiamo raggiungere questi traguardi.
Redazione Nurse Times
Fonte: Rcs Salute
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