Rilanciamo un articolo a cura del professor Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igm).
Nell’ultimo bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1° marzo si delinea il quadro epidemiologico dell’infezione da SARS-CoV2, riassumendo: l’incidenza di forme gravi è il 14% e di casi critici il 5%. Questi i dati dello studio epidemiologico cinese su oltre 44mila casi.
Alle 18 del 1° marzo in Italia c’erano 1.577 positivi, di cui circa il 50% (798) a casa (presumibilmente senza sintomi o con sintomi molto lievi). 639 (circa il 40%) sono ricoverati, non sono note però l’incidenza delle polmoniti e la loro gravità, ma sembra che la maggioranza abbia sintomi non preoccupanti.
Complessivamente, quindi, sembra che ci sia un accordo con l’80% di forme lievi/moderate secondo l’Oms (assumendo che la maggioranza dei ricoverati non sia grave). I casi critici (terapia intensiva) in Italia sono 140 (8.8%), più alto, rispetto al 5% di casi critici riportati dallo studio cinese.
Possiamo fare tre ipotesi:
- I numeri dei casi positivi sono inferiori alla reale diffusione del virus (per cui le percentuali potrebbero essere sovrastimate).
- In questa seconda ondata il virus circolando ha passato il setaccio della selezione naturale che ha favorito la diffusione di un ceppo più ‘abile’ nel colonizzare il nuovo ospite; solo l’analisi genetica degli isolati autoctoni presenti adesso in confronto con quelli circolanti all’inizio dell’epidemia potrà dirci se ci sono stati cambiamenti genetici sostanziali.
- La differente struttura genetica della popolazione europea rispetto a quella asiatica riflette una diversa risposta al virus. Questa è molto più difficile da verificare e richiederà studi accurati sulla risposta immunitaria.
Al di là di queste tre ipotesi si confermano due punti importanti:
- la generale benignità del decorso dell’infezione per la maggioranza delle persone, soprattutto quelle giovani;
- la necessità di continuare nelle misure di contenimento per abbattere il più possibile il numero dei casi.
Se anche il rischio di forme critiche o potenzialmente letali è basso, non possiamo permetterci di non fare tutto il possibile per proteggere chi a rischio è. Inoltre la criticità maggiore di questo virus non è la letalità, che rimane sostanzialmente concentrata sulle persone più fragili, ma l’incidenza delle forme che richiedono assistenza ospedaliera.
Serviranno ancora almeno due-tre settimane per avere un’idea precisa sull’efficacia delle misure e sull’andamento dell’epidemia. Dobbiamo collaborare tutti, senza panico ingiustificato ma con senso di responsabilità.
Redazione Nurse Times
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