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Covid-19: il racconto di Erika, infermiera a Bologna

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Covid-19: il racconto di Erika, infermiera a Bologna
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Erika Magaldi, infermiera lucana impegnata a combattere contro il coronavirus a Bologna ci riporta “Una storia qualunque”

“Vi racconto una storia.

Da quasi cinque mesi stiamo ospitando nella nostra amata Italia il Sig. COVID – 19, per i nemici Coronavirus. Si sta comportando in maniera irrispettosa, non conosce minimamente le buone maniere, perciò non mi sta molto simpatico. Cioè, sta impedendo addirittura l’apertura della mia merceria preferita di fronte casa, del mercato aperto dove avrei dovuto comprare il pigiama primaverile, per non parlare dei miei amati Giardini Margherita chiusi al pubblico. Si, mi trovo a Bologna. Bologna però continua a splendere con il suo arancio pazzesco.

Ah, quasi dimenticavo, voglio presentarmi. Ho un nome scelto da mia madre, un cognome ereditato da mio padre ma faccio un lavoro che ho scelto solo io: sono un’infermiera.

Ho 24 anni e, come detto in precedenza, lavoro a Bologna.

Non è un mistero la mole di lavoro a cui sono sottoposti Operatori Sanitari, Forze dell’Ordine, Volontari, Protezione Civile, Commessi e chi più ne ha più ne metta per cacciare di casa il Sig. COVID. Non è un mistero la grande quantità di elogi che questi ogni giorno ricevono da chiunque, per strada, in tv, sui social.

Ora, non sono qui per parlare ancora male del Sig. COVID, abbiamo conosciuto un pò tutti i suoi atteggiamenti.

Oggi voglio condividere, con chi avrà la pazienza di leggere, una mia esperienza carina datata 23/03/2020.

Ore 07.15.

Finalmente è finito il mio primo turno in una struttura dopo dodici ore. È una struttura, distante quasi un’ora da Bologna, in cui io e i miei colleghi stiamo aiutando gli altri per coprire soprattutto i turni di notte. Il mio capo mi chiama, gli racconto tutte le mie sensazioni, ero contenta, soddisfatta del mio lavoro. Il cielo era tanto grigio, le nuvole lasciavano spazio alla lieve pioggia primaverile ed io non vedevo l’ora di andare a casa, quindi mi metto alla guida.

Ma c’è qualcosa che non va, lo leggo subito negli occhi dei miei colleghi che mi guardano sorpresi. Loro stavano per iniziare il turno di mattina, andavano di fretta per timbrare il cartellino.

“Non te ne sei accorta?“ Mi chiede il collega Michele a voce alta indicando…la ruota.

Maledizione, la ruota bucata.

“Ora cosa faccio? A chi mi rivolgo?” mi dico. Mamma e papà abitano ad 800 chilometri, nella mia terra, la Basilicata. Tutta la mia mia famiglia è ad 800 chilometri. E in quel momento, nessun collega poteva aiutarmi perché dovevano andare dai loro pazienti. Ci sono gli orari da rispettare.

Una lampadina mi si accende nella testa. Chiamo il soccorso stradale, tanto è gratis ogni volta che ne ho bisogno (pensiero geniale di una madre che consiglia alla figlia cosa inserire nella sua assicurazione per l’autoveicolo).

Ore 07.25

“Buongiorno, avrei bisogno di sostituire la ruota dell’auto, può sembrare ridicolo ma non so utilizzare un crick. Mi trovo proprio nel parcheggio della struttura privata in cui ho lavorato“.

“Arriviamo subito“.

Cerco di stare tranquilla, anche se l’ansia è stata sempre una nota colorata del mio carattere.

Ore 07.45

Ricevo una chiamata. “Ciao, siamo sempre noi del soccorso stradale. Ci stiamo impegnando per cercare un mezzo, stia tranquilla, la raggiungiamo presto“.

“Poveri loro”, pensai. “Sicuramente ci saranno tantissime cose più gravi a cui pensare, magari degli incidenti… “ ed io, che comincio anche a sentirmi in colpa ad aver chiamato per una stupida ruota.

E l’ansia cresceva.

Ore 08.40

“Salve, siamo sempre noi del soccorso stradale. Ci dispiace, nessun mezzo è disposto a raggiungerla perché è infermiera e i conducenti hanno paura“.

“È infermiera… è infermiera“. Pian piano, quelle parole cominciavano a rimbombarmi nella testa.

Cominciai a sudare, gli occhi stavano cedendo alle lacrime, la mia irascibilità cresceva sempre di più (succede sempre quando sono stanca) ma non ho avuto la forza di replicare, ero tanto assonnata.

Loro avevano paura del contagio, io della loro ignoranza.

Ore 09.00

“Sono Stefano, arrivo subito da lei ma deve darmi un po’ di tempo perché provengo dal Veneto“.

“Grazie Stefano, mi stai quasi salvando“, pensai.

Finalmente Stefano arriva alle 09.40 ed io ero felicissima. Mi sistema tutto e, finalmente, posso partire. Seppur ad un massimo di 80 chilometri orari. Firmo i documenti e gli regalo una mascherina chirurgica. Ciao Stefano, sei stato grande.

Ore 11.00: Finalmente a CASA.

“Meglio non fare il resoconto della giornata” pensai. “Meglio andare a riposare perché mi aspetta il turno di notte anche oggi“.

Erika Magaldi, infermiera a Bologna

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