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Domenica, infermiera a Biella in Covid Unit“La 2^ settimana è stata massacrante…Psicologicamente distrutta, devastata”

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Domenica, infermiera a Biella in Covid Unit“La 2^ settimana è stata massacrante…Psicologicamente distrutta, devastata”
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Il racconto di Domenica Pierconti infermiera di 37 anni, in servizio presso il reparto di Medicina d’Urgenza del Nuovo Ospedale degli Infermi di Biella, una della città maggiormente colpite dal coronavirus in Piemonte

Domenica ci riporta la sua esperienza vissuta in queste settimane di lavoro per contrastare l’emergenza.

“Siamo alle porte della 4^ settimana di trincea e sono passate diverse settimane da quando volevo scrivere un pensiero, una riflessione…. Ecco la mia testimonianza.

Vorrei dare un nome a questa settimana… La chiamerò settimana della SPERANZA.

Già, ma facciamo un passo indietro.

Da quattro settimane vivo dentro un frullatore di emozioni, non so più come mi sveglierò al mattino o andrò a dormire la sera perché non si possono fare previsioni.

In queste settimane ho sfruttato tutti i canali social al fine di sensibilizzare quante più persone possibili su quello che stava succedendo negli ospedali in Lombardia e successivamente verificatosi a Biella nel mio reparto.

Erano i primi di marzo quando il mio reparto è stato chiuso qualche giorno per essere disinfestato dopo il passaggio del primo paziente risultato positivo al tampone per COVID-19. Mentre noi attendiamo intrepidi l’esito dei nostri tamponi, il paziente nel frattempo viene trasferito in Rianimazione e intubato a causa del repentino peggioramento delle condizioni respiratorie.

Arriva il nostro esito: TAMPONE NEGATIVO. Pericolo scampato! Quindi ora che si fa?

Tra sabato 7 e domenica 8 marzo si inizia a ventilare l’ipotesi di rientrare, si perché il mio reparto, Medicina d’Urgenza viene convertito a Covid-19. Non nego che “scalpitavo” per rientrare, a casa mi sentivo inutile e impotente.

Arriva il via libera; arrivano i turni. Lunedì inizio con giornata, turni da 12 h, reparto completamente riorganizzato. Felice di dare il mio contributo, di iniziare questa nuova e lunga battaglia. Di scendere in trincea.

1^ settimana “LA TRINCEA”

Entro in reparto con quel sorriso misto a preoccupazione, curiosità, disorientamento. Ora che capisci come vestirti passano 15 minuti. Il copricapo, la mascherina, la visiera, i doppi guanti, il camice. Ho già caldo… il primo giorno vola letteralmente 14-15 ricoveri come se niente fosse.

Sembravamo delle macchine da guerra. Sono bastate 12 h per capire che non saremmo più tornati indietro. Che nulla sarebbe stato come prima. Finalmente arriva il cambio. Sei assetato, vorresti correre in bagno, i segni della mascherina sul naso, il sudore che corre lungo la schiena. Ti senti a bomba. L’adrenalina sulla pelle. Sogni una doccia calda, vestiti puliti e quando arrivi a casa e finalmente ti siedi, senti il tuo corpo in un fascio di tensione, stomaco chiuso. La sensazione è come se un treno ti avesse investito.

Passano i giorni, i ricoveri aumentano. La maggior parte dei pazienti sono anziani ma ci sono anche diverse persone giovani. Il primo che trasferiamo intubato in rianimazione è un ragazzo di 38 anni. Arrivano le prime considerazioni. Gli ottantenni che ricoveri, per quanto possano essere in buona salute, sono quelli che “prima del coronavirus” sarebbero sicuramente tornati a casa.

Ora, dopo 24h hanno un casco CPAP. Inizi a vedere la paura, la preoccupazione e il terrore nei loro occhi perché capiscono che non usciranno più. 

Che fine hanno fatto i tuoi 14 anni di lavoro? 14 anni sul campo dove hai visto centinaia di persone andarsene? Che fine ha fatto la tua bella corazza?

Inizi a vacillare, inizia a tremarti la terra sotto i piedi perché capisci che non è uno scherzo, che in quel letto potrebbe esserci chiunque. Un amico, un familiare.

Ho i genitori anziani, sì in buona salute, ma il primo pensiero va a loro perché so che questo virus non fa sconti a nessuno. 

Vedo la signora Maria (nome di fantasia) che lentamente si sta spegnendo. È sola, la sua vita è appesa ad un filo. E siamo solo al terzo giorno.

Esco dalla stanza perché gli occhi mi si riempiono di lacrime, non riesco a gestire le emozioni.

Mi allontano, faccio due passi in corridoio cercando di prendere fiato. “Respira Dodo. Respira”. Cerco di mandare giù il nodo alla gola, spero che le lacrime tornino indietro e invece le sento scorrere sulle guance. “Merda…Così non può andare” mi dico. Siamo solo all’inizio.

Prendo coraggio, mi avvicino alla collega e mi faccio soffiare il naso, asciugare il trucco colato, bevo un bicchiere d’acqua e riparto. Capisco che dei miei 14 anni in questo momento non me ne faccio nulla, nessuna corazza, questa è un’altra partita, un’altra battaglia, una vera e propria guerra. Che la vera corazza ce la faremo ora. Perché purtroppo la signora Maria sarà la prima di una lunga serie.

Vietato arrendersi!!

2^ settimana “LA MATTANZA”

Ho passato la maggior parte dei miei riposi piangendo, un fiume in piena, una tristezza nel cuore che non si può spiegare.

“Ma queste benedette lacrime. Finiranno prima o poi? Va bene” pensavo, é questo un modo per esternare e buttare fuori le tue emozioni, le tue paure, le tue frustrazioni, le tue angosce…ma finalmente si torna al lavoro. Già perché fa meno male essere in campo che stare fuori a pensare e “leccarti le ferite”.
I contagi aumentano, i posti letti scarseggiano, siamo quasi al limite. Ed ecco che aprono il secondo, il terzo e infine il quarto reparto Covid.
Le restrizioni per i quarantenati diventano più rigide e anch’io divento più rigida, soprattutto con mamma e papà. Imploro di non uscire, faccio terrorismo psicologico. Gioco tutte le armi. “Guai a te se esci!” Io, la più piccola che rimprovero il mio papà. Quasi rido, come cambiano i ruoli, ma dentro mi scoppia il cuore dalla paura.

La seconda settimana è stata massacrante, 9 decessi in meno di 24h. Psicologicamente distrutta, devastata.

Fai squadra tra i colleghi, ti senti per telefono dopo l’orario di lavoro. Siamo tutti messi così. Abbiamo tutti accusato il colpo.

“Che botta ragazzi. Ma ce la faremo? Ce la dobbiamo fare! Vietato arrendersi!” mi dico.
Si sfoggia un sorriso, ci si ascolta, vorresti abbracciarti ma non puoi, si continua a fare gioco di squadra, messaggi di sostegno in chat con un primario che più che un primario sembra il nostro capitano. Non sembra, lo è, crede in noi, ci supporta e condivide le nuove “strategie”, il nostro coordinatore sempre pronto ad ascoltarci e sostenerci, pronto a reinventarsi… che squadra.

“Ma chi ci ferma? Siamo delle bombe forza ragazzi, vietato arrendersi!”

3^ settimana “LA STABILIZZAZIONE”

Con l’apertura di altri 3 reparti covid, finalmente io e i miei colleghi troviamo respiro. I caschi CPAP vengono messi anche negli altri reparti e per qualche giorno si tira il fiato. Si perché se da una parte si riducono i decessi da noi, dall’altra l’età media dei pazienti si è notevolmente ridotta.

I posti letto sono aumentati a 34 e arrivare a 38 è un attimo ma voglio vedere il lato positivo. Paziente più giovane, paziente che risponde meglio alle terapie, con cui puoi pianificare, con cui può esserci un margine di miglioramento, qualcuno su cui riporre le speranze.

Alcuni pazienti iniziano a stare meglio, iniziano a svezzare dal casco CPAP, ovvero iniziano a scalare gradualmente le ore con il casco. In questo momento anche il più piccolo miglioramento è un enorme traguardo per noi. Vuol dire che stiamo lavorando bene, che siamo sulla strada giusta. Per i nuovi pazienti rivivi esattamente tutto dall’inizio, ma questa volta hai un’arma in più: la Speranza! 

Quella che cerchi di trasmettere con il contatto visivo, gli fai leggere il nome sul camice per averti come punto di riferimento per tutto il turno, ti prendi cura di loro. Vorresti toglierti tutte quelle barriere per abbracciarli perché una volta dentro quel casco sono indifesi e impauriti.

I miei patatini…come li chiamo io.. Vorresti salvarli tutti.

4^settimana “LA SPERANZA”

Ancora tutta da scrivere e so che ci saranno momenti difficili da superare, ormai si vive giorno per giorno, in un “gioco” di solidarietà, di ascolto dentro e fuori dal lavoro, un filo sottile ed invisibile che ci lega tutti quanti perché solo chi è dentro quella trincea può capire l’inferno che hai dentro. 

Vivrò questa settimana a metà, con la speranza nel vedere i piccoli miglioramenti dei miei pazienti che gradualmente iniziano a vedere la luce in fondo al tunnel e le distanze che si accorciano nel riabbracciare la loro famiglia. Già perché purtroppo qualcuno non ha ricevuto nemmeno un ultimo saluto e un ultimo abbraccio dal proprio familiare. 

L’altra metà invece che ci coinvolge da vicino, é che sempre più operatori si stanno positivizzando ai tamponi. E questa non è assolutamente una bella notizia! Se il rischio è quello di finire in “panchina” chi vi curerà? Chi si prenderà cura di voi?

Voglio essere positiva e dirvi che andrà tutto bene e soprattutto continuate a stare a casa, perché da soli non possiamo farcela. Ma insieme si!

“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca. Tutti fragili e disorientati, allo stesso tempo importanti e necessari. Tutti quanti a remare insieme. Tutti bisognosi di confrontarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti, tutti. Non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo. Ma solo INSIEME. ❤

Papa Francesco 

Ringrazio tutte le persone vicine e lontane che in queste settimane hanno dimostrato il loro affetto e la loro vicinanza sostenendomi in un momento fragile come questo.

Ognuno di voi è stato prezioso.

Grazie ❤

Domenica Pierconti

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