Come è stata gestita l’emergenza Covid-19 regione per regione? Quali sono state le difficoltà incontrate? Quali le prossime mosse? Nurse Times intervisterà i presidenti OPI per chiederlo a loro. Segue l’intervista a Pasqualino D’Aloia, presidente dell’OPI di Milano, Lodi, Monza e Brianza.
Quale è stato il problema più grande riscontrato nell’ambito dell’emergenza nella vostra zona? Sarebbe stata utile una norma più specifica a tutela della sicurezza di chi lavora in ambito sanitario?
Io credo che il D.Lgs. 81/08, che riguarda la sicurezza sul lavoro, in questo momento, è sufficiente a garanzia dei lavoratori. Il problema vero che noi abbiamo avuto non è stata una norma che non tutelasse la salute dei lavoratori e – in ambito sanitario – degli infermieri, bensì l’insufficienza, rispetto alla pandemia, di reperire i dispositivi di protezione individuale. Un problema, questo, che si è verificato a livello mondiale.
Più che una normativa, io credo che sarebbe interessante rispolverare i “piani pandemici” e sarebbe utile che si potesse in qualche modo prevedere una scorta rispetto alla possibile problematica di una infezione di questa sorta.
Darei, inoltre, delle linee guida da far seguire a tutti gli operatori in caso di situazioni particolari come quella dell’emergenza pandemica.
Come avete gestito la mancanza di dispositivi di protezione individuale?
Abbiamo dovuto razionalizzare. Nei reparti no Covid ai dipendenti sono stati dati dei dispositivi di protezione più semplici: la mascherina chirurgica, che è sufficiente se si lavora in un reparto no Covid. Ora la situazione si è stabilizzata, stiamo iniziando a respirare. Agli inizi, invece, era un disastro: c’erano le ambulanze pronte a lasciare i malati, ma gli ospedali non erano pronti a riceverli… e questo ha portato al crash del sistema.
Si è dovuta affrontare l’emergenza “da un giorno all’altro”. Come sta funzionando la formazione degli infermieri per prepararli in maniera rapida a gestire la situazione epidemica?
L’OPI di Milano ha collaborato in maniera intensa ad attivare il corso sul portale della FNOPI per 8 ore di formazione sulla questione coronavirus. E ci sono anche altre iniziative online a cui tutti gli infermieri possono accedere tramite sito web.
Avete pensato a qualche tipo di supporto psicologico rispetto a quelle situazioni di stress emotivo che riguardano sia i pazienti che i lavoratori in questi giorni difficili?
Sì, l’OPI di Milano ha attivato una serie di supporti psicologici nei confronti degli operatori e degli infermieri per consentire loro di affrontare al meglio l’emergenza anche da un punto di vista emotivo. Abbiamo visto, in questi giorni, diverse situazioni che provocano dispiacere: infermieri che vengono additati come untori, ad esempio.
L’aiuto viene dato da un team di psicologi tramite supporto telefonico e videochiamate. In alcune aziende lombarde ci sono team di psicologi che parlano con il personale e i pazienti per provare ad alleggerire la situazione drammatica. Bisogna considerare che chi è ricoverato per Covid è lontano dai parenti e l’unico modo che ha di comunicare è tramite il personale sanitario, o tramite cellulare… ma quando si è agli inizi, nel pieno della difficoltà respiratoria, si fa fatica anche al pensiero di utilizzare un cellulare.
Le morti nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (strutture private integrate nel servizio sanitario regionale) stanno facendo notizia (si pensi alla vicenda del Pio Albergo Trivulzio). Cosa ne pensa?
Le RSA sono un problema da tanto tempo. Qui in Lombardia sono controllate da agenzie territoriali che verificano i requisiti strutturali, di personale, logistici e ambientali. Quello che posso dire è che ho notato che lì dove la componente infermieristica era viva all’interno della stessa RSA, la percentuale di morti si è notevolmente abbassata. In quelle RSA dove la gestione era accorta e attenta non ci sono stati contagiati.
Va anche considerato il dato di anzianità di chi è ospite di queste strutture e le loro precedenti patologie (molto spesso importanti). Probabilmente il numero di infermieri che oggi la norma prevede nella gestione di queste strutture è insufficiente.
Previsioni per la “fase due”?
Credo che non si possano fare previsioni, in questo momento non abbiamo dati sufficienti per decidere quale sia la strategia migliore. Si parla di distanziamento sociale, di DPI, ma il flusso di gente che arriva a Milano è troppo grande e di sicuro sarà complicato gestirlo. Sarà una sfida a livelli organizzativi. Si andrà per piccoli passi, facendo degli errori probabilmente, perché nessuno sa adesso cosa sarà meglio.
Ha fatto molto discutere la differenza percentuale del numero di morti in Lombardia rispetto alle altre regioni. Qual è il suo punto di vista a proposito?
In questo momento, con i dati a nostra disposizione, si possono commettere degli errori di valutazione.
I dati vanno analizzati a mente serena e noi siamo ancora nel pieno dell’emergenza. Secondo me, però, il sistema ha retto bene, perché se questa pandemia si fosse verificata in Basilicata, in Campania o in Puglia, non so se queste regioni avrebbero potuto avere la stessa capacità di risposta che ha avuto la Lombardia.
Ovviamente, adesso sta diventando una questione politica, ma io non voglio addentrarmici. C’è chi dice, ad esempio, che ha agito meglio il Veneto… ma come si può paragonare, per numero di abitanti, il Veneto alla Lombardia? Ad oggi è impossibile dire chi ha sbagliato. In futuro, sicuramente, ci dovremo fare qualche domanda e stabilire insieme cosa cambiare, e se qualcosa da cambiare ci sia o meno.
Io ho avuto modo di girare tra vari ospedali: da quelli con situazioni veramente drammatiche, come a Lodi, a situazioni di ospedali milanesi dove la risposta data dalle organizzazioni sanitarie in questi contesti è stata di prim’ordine.
Noi abbiamo salvato davvero tante vite. Il sistema ha risposto.
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