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L’infermiere e il Comparto Sanità: un binomio da cancellare.

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Personale sanitario: sistema discriminante per i passaggi di fascia
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Riceviamo e pubblichiamo un contributo a cura di Gaetano Ciscardi (foto), socio fondatore di Infermieri in Cambiamento

Grazie per quello che fate” ; “Siete i veri EROI, grazie di tutto”; “Resistete e grazie di esistere”; “Siete una parte vitale del nostro sistema sanitario nazionale, grazie di vero cuore”

Alzi la mano, seppur virtualmente dietro ai vostri PC, tablet e cellulari, chi di voi colleghi sanitari impegnati a contrastare la pandemia COVID 19 abbia sentito o letto almeno una volta una di queste frasi sopra menzionate in questi ultimi due mesi. Purtroppo non potrò vedervi, ma sono sicuro che si alzerebbero il 100% delle mani di ognuno di voi.

Pur sapendo di aver iniziato quest’articolo in modo assai “strano”, mettiamo per adesso da parte le frasi virgolettate per passare alla vera questione che in questo momento sta suscitando gli interessi e i dubbi di molti addetti ai lavori e anche dei semplici curiosi cittadini.

La questione del salario percepito dal professionista infermiere all’interno del CCNL. L’abbreviazione CCNL (per i non intenditori) rappresenta l’acronimo di Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro e viene considerato il risultato delle trattative intercorse tra le associazioni dei datori di lavoro e i sindacati dei lavoratori. Queste trattative sono volte a disciplinare e stabilire i contenuti essenziali dei contratti di lavoro, sia sotto l’aspetto economico (retribuzione) sia sotto quello normativo (orario, qualifiche, mansioni, ecc.). Pertanto viene definito “Collettivo” perché coinvolge tutti i lavoratori del settore oggetto del contratto, e “Nazionale” perché si applica a tutte le aziende localizzate sul territorio italiano. 

È importante sapere in quale ambito opera l’azienda per la quale lavoriamo, poiché ogni settore è disciplinato da un proprio contratto collettivo a cui i lavoratori devono fare riferimento (ad esempio Sanità, Commercio, Metalmeccanico, Chimico, ecc.). Nonostante ciascun CCNL rappresenti l’insieme delle norme che regolamentano il mercato del lavoro, ogni azienda può comunque apportare delle modifiche ed integrazioni in senso migliorativo. Il CCNL di ciascuna categoria viene difatti rinnovato in tal senso periodicamente ogni due anni per la parte economica e ogni quattro per la parte normativa.

Dando forza al mio ottimismo, sono convinto che tutti noi sappiamo che al momento dell’assunzione si andrà a ricoprire un determinato ruolo, quest’ultimo contraddistinto da una categoria, qualifica e mansioni all’interno dell’organizzazione aziendale e da cui dipendono tutta una serie di conseguenze economiche e normative. Chiaro risulta essere che la retribuzione è diversa a seconda dei compiti affidati al dipendente: maggiori sono le responsabilità, le difficoltà, la specializzazione e le competenze richieste più alti dovrebbero (è il condizionale è d’obbligo) risultare gli stipendi. Per questo motivo, onde garantire una retribuzione corretta vengono utilizzati i contratti collettivi, applicabili tramite un sistema di classificazione del personale basato su tre diversi livelli che agiscono da veri e propri recipienti: si passa dal più grande di essi (le categorie legali) passando al successivo (qualifiche contrattuali) per arrivare all’ultimo livello, quello che identifica i compiti concretamente svolti dal dipendente (mansioni). Inoltre, ai sopra citati riflessi sulla retribuzione,  vi è da considerare altri aspetti importanti della gestione del personale, tra cui:

  • Durata del periodo di prova
  • Durata del periodo di comporto
  • Indennità economiche legate alla mansione
  • Periodo di preavviso per licenziamenti e dimissioni
  • Indennità INPS riconosciute al verificarsi di alcuni eventi tutelati (si pensi a malattia e maternità)
  • Contributi previdenziali dovuti all’INPS
  • Premi assicurativi INAIL
  • Iscrizione a fondi di assistenza sanitaria integrativa o per la formazione professionale (si pensi a quelli previsti da alcuni contratti collettivi esclusivamente per i dipendenti quadri)

Questi per sommi capi sono i punti che determinano la retribuzione di qualsiasi dipendente.

Occorre adesso ritornare ai 3 livelli menzionati che maggiormente influenzano la retribuzione di ogni dipendente. A tal proposito la categoria legale è il primo step da affrontare per una corretta classificazione del personale. La definizione di “legali” nasce dal fatto che essa è individualizzata dal codice civile attraverso l’articolo 2095, e si divide in quattro categorie:

  • Dirigenti
  • Quadri
  • Impiegati
  • Operai

Adesso passiamo a descrivere singolarmente ognuna delle categorie.

I dirigenti, da definizione, “sono lavoratori subordinati che, nell’ambito dell’impresa o dell’ente, svolgono funzioni connotate da elevata professionalità, autonomia decisionale, responsabilità nei confronti dell’imprenditore o del funzionario superiore, nonché da poteri di coordinamento e controllo dell’intera attività aziendale o di un ramo autonomo dell’impresa oppure, per i dirigenti pubblici, di un settore/ufficio”. Quindi, in parole povere, tale figura si caratterizza per essere generalmente preposto alla gestione dell’intera azienda o, per le realtà più strutturate, ad un ramo autonomo di essa, rispondendo unicamente all’organo amministrativo e/o al legale rappresentante (Azienda Sanitaria, Edile, Commerciale, Alimentare ecc.).

I quadri  invece rappresentano “i lavoratori subordinati intermedi come posizione tra dirigenti e impiegati che dipendono direttamente dall’imprenditore o dai dirigenti e che svolgono attività di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa”. Sempre secondo giurisprudenza, a questa categoria va attribuita la gestione diretta ed autonoma dei rapporti con i terzi e la responsabilità gestionale e anche di funzioni demandate da terzi all’interno del contesto aziendale in cui si opera. Inoltre su questa categoria va fatta una precisazione: seppure essa si collochi in scala gerarchica tra i dirigenti e gli impiegati, la disciplina applicata ad essi è uguale a quella degli impiegati, salvo se il contratto collettivo applicato non disponga diversamente. A differenza degli impiegati, tuttavia, i quadri svolgono con continuità delle funzioni di rilevante importanza per lo sviluppo e l’attuazione degli obiettivi aziendali, solitamente individuabili nella gestione di un ufficio o reparto, in posizione subordinata rispetto al dirigente, all’organo amministrativo e alla proprietà

Gli impiegati prestano la loro attività lavorativa alle dipendenze del datore di lavoro con funzioni di collaborazione, e normalmente non svolgono prestazioni di vera manodopera, possedendo l’autonomia d’iniziativa pur sempre nei limiti delle direttive generali impartite dall’imprenditore. Con il termine impiegati si intendono quindi “quei dipendenti che svolgono la loro attività in collaborazione con datore di lavoro, dirigenti e quadri, esclusa ogni prestazione di semplice manodopera”.

Infine gli operai sono l’ultimo anello (ma non per importanza, ci mancherebbe) delle categorie descritte, in cui l’apporto richiesto dalle loro abilità è esclusivamente di tipo produttivo, che si traducono in attività di tipo prevalentemente manuale ed esecutivo.

Passiamo adesso al secondo gradino della classificazione del personale, ossia quello rappresentato dalla qualifica contrattuale, dove per qualifica intendiamo l’insieme delle mansioni tra loro accumunate dal medesimo livello di specializzazione, responsabilità e difficoltà del ruolo ricoperto. La parola “contrattuale” invece definisce i singoli contratti collettivi che ad ogni qualifica fanno corrispondere un prefissato trattamento economico (livelli retributivi).

Nella categoria infermieristica i livelli partono dal livello più basso che risulta essere il D0 fino ad arrivare a quello più alto ossia il D6. Inoltre per i coordinatori ed i dirigenti infermieristici vi è un’altra scala di qualifica contrattuale che parte dal DS fino ad arrivare al DS6.

Le mansioni

Adesso parleremo invece del terzo gradino della classificazione del personale, vale a dire le mansioni, le quali veicolano e guidano l’insieme dei compiti affidati al dipendente e quindi cosa concretamente fa e produce il dipendente. La legge (art. 2103 c. 1 codice civile) stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alla mansione per cui è stato assunto, quella cioè indicata nel contratto di lavoro insieme al livello retributivo. Risulta ammessa l’attribuzione di più mansioni (cosiddette “mansioni promiscue”), anche se appartenenti a livelli contrattuali diversi. In questo caso, il trattamento spettante si individua sulla base della mansione prevalente sia a livello quantitativo (il tempo dedicato) che qualitativo (la rilevanza sul piano professionale).

Ma allora la domanda che sorge spontanea è la seguente: ma gli infermieri a quale categoria appartengono? Andiamo a ragionare per ordine. Possiamo dire con molta decisione che l’infermiere attualmente non può essere catalogato nella categoria dirigente (eccezion fatta per i Dirigenti Infermieristici, anche se i riferimenti in tal senso tra normativa e realtà pratica sono ancora assai confusi e distanti tra loro), in quanto esso come da definizione del dirigente non è “generalmente preposto alla gestione dell’intera azienda o, per le realtà più strutturate, ad un ramo autonomo di essa, rispondendo unicamente all’organo amministrativo e/o al legale rappresentante”.

Diciamo che allo stato attuale delle cose la categoria infermieristica potrebbe essere riconosciuta come dirigenziale ma di fatto non lo è; potremmo anche affermare facilmente come l’infermiere non debba e non possa far parte neanche della categoria degli operai; esiste invece una decodificazione dell’art. 2 della legge n. 190/1985, che definisce i quadri come lavoratori che svolgono attività di notevole importanza per lo sviluppo e l’attuazione degli obiettivi dell’impresa tra i quali la responsabilità gestionale autonoma dell’insieme delle funzioni demandate al lavoratore in oggetto e la gestione diretta dei rapporti con i terzi per assolvere le finalità dell’azienda.

Questa definizione ad onor di cronaca sembra sicuramente quella più adatta ai professionisti sanitari infermieri. Difatti l’infermiere dovrebbe appartenere alla categoria dei quadri perché assolve sia il primo requisito aderendo al D.M. n. 739/1994 che lo erge a responsabile di tutta l’assistenza infermieristica generale che il secondo requisito considerato che nello svolgimento delle proprie funzioni, rappresenta l’ente per cui lavora attestando fatti avvenuti in sua presenza, praticando in autonomia cure e terapie sull’utente di notevole importanza e delicatezza giuridica, assumendosi elevati livelli di responsabilità civile e penale che, qualora negligenti o errate, potrebbero causare gravi danni o nei casi peggiori la morte all’utente. Ma il condizionale in questo caso è d’obbligo; l’infermiere DOVREBBE far parte dei quadri, ma nella realtà tutto cambia.

Per completare il discorso, è giusto aggiungere per chiarezza di informazioni che l’infermiere, così come non può essere catalogato nella categoria degli operai, non potrebbe neanche essere menzionato come impiegato; infatti ai sensi dell’ancora in vigore R.D.L. 13 novembre 1924 n. 1825 l’impiegato può assumere attività di propria iniziativa, cosa che invece l’infermiere deve fare e non che deve limitarsi a poter fare. Gli operai anche se specializzati, svolgono mansioni meramente esecutive, elementari, sotto la direzione del superiore che valuta il risultato e può indicare le modifiche da apportare (qui invece potrebbero essere catalogati gli operatori di supporto O.S.S., O.T.A., ecc.).

Chiariti i dubbi e date le opportune e precise definizioni, non dovrebbero sussistere dubbi sulle competenze e funzioni attribuite alle figure sanitarie (nello specifico la professione infermieristica) e della differenza che dovrebbe persistere tra infermiere ed OSS. Contrariamente a quanto di più palese possa esistere, queste due figure invece sono inserite nello stessa categoria legale, quella del Comparto, vale a dire la stessa categoria degli operai (e anche degli ascensoristi, geometri, elettricisti ecc.). Questa evidente e malsana gestione economica/finanziaria porta inevitabilmente al demansionamento di quello che dovrebbe essere definito come quadro (infermiere) degradato ad operaio, con quanto nè consegue all’immagine di un professionista con un background di conoscenze ben diverse da un semplice esecutore di compiti meramente manuali, nonchè dalla frustrazione di una categoria professionale (quella infermieristica) inserita all’interno delle PROFESSIONI INTELLETTUALI ma che di intellettuale a livello economico non ha nulla.

Quanto detto sopra può essere aggravato dal fatto che tutto ciò avviene con la piena compiacenza e compartecipazione dei dirigenti che come si vuol dire in gergo “guardano dall’altro lato della strada”; tutto ciò ci fa comprendere la rilevanza del ruolo accordato dalla legislazione e dalla dottrina giuridica all’infermiere, considerando come la documentazione sanitaria (ivi inclusa la documentazione infermieristica) è un atto che il Quadro/Pubblico ufficiale e/o Incaricato di Pubblico Servizio/ produce nello svolgimento delle sue funzioni e competenze.

La gente e tanti addetti ai lavori non sanno che per un professionista lavorare durante una pandemia o lavorare senza alcuna pandemia rappresenta la medesima cosa e ci espone ai medesimi rischi. E ovviamente, come non eravamo eroi prima del Covid 2019 non ci sentiamo per niente eroi adesso. Una cosa però ci vorremmo sentire attribuire quando questa emergenza si concluderà: un riconoscimento sociale adeguato ed un trattamento economico degno dei migliori QUADRI e con la speranza viva di poter dire GRAZIE anche noi a qualcuno per averci fatto uscire da un COMPARTO CHE NON CI APPARTIENE!

Dott. Gaetano Ciscardi

Fonti: www.lavoroediritti.com

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