Un avveniristico jet pack integrato nell’uniforme degli infermieri e dei medici che si occupano di emergenza extraospedaliera permetterà loro di raggiungere rapidamente le vittime nelle zone più impervie.
La società Gravity Industries ha lavorato a stretto contatto con sanitari e paramedici della zona rurale del Lake District per testare le capacità del dispositivo volante ribattezzato come “Jet Suit”. Il dispositivo è stato utilizzato sia in situazione di emergenza simulate che in alcune reali urgenze mediche.
Uno degli scenari realizzati prevedeva il soccorso ad una bambina di 10 anni, vittima di una frattura esposta ad un arto inferiore in seguito ad una caduta in un burrone. Dopo aver comunicato le coordinate GPS della vittima, i soccorritori si sono levati in volo con il jet pack, sorvolando la catena montuosa e raggiungendo la ragazzina in soli 90 secondi di volo.
Hanno potuto stabilizzare rapidamente il paziente, in attesa che arrivassero i soccorsi via terra.
“Il suo potenziale è enorme,” spiega l’elisoccorritrice Andy Mawson. “Il mio primo volo con la Tuta Jet è stato un momento incredibile. Il pensiero di poter salvare una vita riducendo i tempi di attesa e le sofferenze di una persona mi ha reso euforica”.
Ci sarebbero voluti almeno 25 minuti di arrampicata ai soccorritori per raggiungere la zona dell’incidente via terra. Ma grazie alla tuta dotata di un motore in grado di erogare una potenza di 1.000 CV, nel giro di alcuni minuti i soccorriti sono giunti sul posto risparmiando minuti preziosi.
È assolutamente sbalorditiva la velocità con la quale possiamo raggiungere un paziente intrappolato in alta quota”, racconta Mawson.
La tuta può raggiungere l’impressionante velocità di circa 55 chilometri orari, grazie ai cinque mini-motori a reazione installati sulle maniche e sulla schiena del pilota.
“Nessuno sa cosa il futuro possa riservarci, ma questo prototipo rappresenta un inizio del quale essere orgogliosi”, racconta l’inventore Richard Browning.
La tuta ha un limite di altitudine di circa 3.700 metri, che potrebbe permettere l’utilizzo del “veivolo” su molte aree montane italiane.
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