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Coronavirus, le risposte ai principali dubbi sull’app Immuni

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Coronavirus, l'appello di Anelli (Fnomceo): "Studenti, scaricate l'app Immuni"
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Una carrellata di quesiti ricorrenti sull’applicazione lanciata dal Governo lo in aprile.

La curva dei download di Immuni si è impennata da inizio ottobre, passando da 6,6 a 7,4 milioni (il dato sulle attivazioni non viene fornito). E con essa sono tornati dubbi e falsi miti, che hanno caratterizzato l’intero percorso dell’app di tracciamento dei contatti con persone affette da coronavirus, varata dal Governo lo scorso aprile. Di seguito i quesiti più ricorrenti.

Cosa succede, davvero, se mi arriva la notifica di Immuni? Questa è la domanda e anche il deterrente più importante. Chi ha scaricato e attivato, o deve ancora scaricare e attivare Immuni, pretende chiarezza su cosa accada se l’app emette la notifica di “esposizione a rischio”. Prima di tutto: come il download, la reazione all’avviso è volontaria, perché nessuno sa che l’avete ricevuto. La richiesta dell’app (in base a quanto previsto dalla circolare del ministero della Salute del 29 maggio) è di contattare il medico di base e, in attesa di indicazioni del medico stesso o della Asl, di rimanere a casa per i 14 giorni successivi alla data del contatto comunicata nella notifica.

La prima parte è chiara: bisogna fare una telefonata e intanto isolarsi, dai familiari e dai colleghi di lavoro, non recandosi in ufficio. Quella sulla durata dell’isolamento in teoria può variare in base alla discrezionalità del medico: anche se non avete sintomi, la maggior parte dei medici di base con cui abbiamo parlato ci ha detto che vi chiederà di rimare isolati a casa per due settimane e contatterà la Asl, anche perché è quello che dice di fare la circolare. Nelle due settimane di isolamento presso il vostro domicilio, quindi, non potrete lavorare o avere alcun tipo di contatto, familiari e congiunti compresi, perché siete stati a stretto contatto con un positivo a Sars-Cov-2.

Cosa accade dopo le due settimane o durante le due settimane se compaiono i sintomi? Nella circolare del ministero non vengono menzionati i tamponi: non c’è quindi un accesso diretto al tampone per chi ha ricevuto la notifica di Immuni, è la Asl a far partire il processo nei tempi e nei modi più corretti e inevitabilmente in base alla disponibilità che con l’acutizzarsi dell’emergenza potrebbe variare, non solo per gli utenti Immuni ma per tutti. Se non avete sintomi, si torna ai 14 giorni, perché fare prima il tampone rischia di portare a un risultato falso negativo.

L’iter è in sostanza lo stesso del tracciamento manuale, che si attiva nel caso in cui un collega, amico/a, compagno/a di classe o sconosciuto compagno/a di viaggio sul vagone di un treno risulti positivo. La differenza, non di poco conto, è che la persona che scopre di essere a rischio non viene avvisata da qualcuno che nel notificargli il contatto potenzialmente pericoloso gli o le spiega subito cosa deve fare, ma deve prendere da sola, mentre è comprensibilmente scossa, una decisione che la costringerà ad assentarsi dal lavoro e a isolarsi senza sapere quando e se farà un tampone. È vero, il digitale ha questo limite strutturale, ma garantisce un monitoraggio – che chi gestisce l’app deve garantire sia accurato – degli incontri fra estranei da cui non possiamo più permetterci di prescindere.

Immuni segue i miei spostamenti? No, Immuni non monitora e segue i nostri spostamenti. Si limita, usando il Bluetooth, a registrare la presenza degli smartphone che abbiamo intorno inviando e ricevendo codici casuali. I dati che vengono scambiati dagli smartphone non devono poter essere riconducibili all’identità delle singole persone e verranno cancellati o resi definitivamente anonimi entro il 31 dicembre 2021. Il termine precedente era stato fissato al dicembre 2020 ed è stato modificato con il decreto del 7 ottobre, che introduce anche il dialogo con le altre app europee.

È colpa del Bluetooth se il mio smartphone si scarica più velocemente? Come dicevamo, la tecnologia scelta per notificare i contatti a rischio non è il Gps ma il Bluetooth. E no, il Bluetooth non incide sulla durata della batteria. «Questa tecnologia è pensata per essere a basso consumo – spiega Claudio Ettore Casetti, professore del Dipartimento di Automatica e informatica del Politecnico di Torino –. Lo standard più recente, il Bluetooth Low Energy (BLE, quello usato dalla app Immuni, ndr), è ancora più parco nei consumi e ogni produttore deve attenersi a specifici vincoli di consumo energetico, 10 milliWatt (mW). Uno smartphone di ultima generazione come l’iPhone 11, per esempio, ha una batteria da 3.110 mAh e 3,9 volt, pari a 12.129 mWh». Per svuotare la batteria occorrono quindi 12.129/10=1.212,9 ore, ovvero 50 giorni e 12 ore circa. Il consumo eccessivo che ravvisiamo in alcuni casi, secondo il professore, «potrebbe essere dovuto a una certa app, a un sistema operativo non ben realizzato o a un’ottimizzazione non condotta correttamente ma non certo al Bluetooth». Nel tempo sono stati registrati casi simili ma sono pochi, limitati ad alcuni produttori e sono stati risolti con un aggiornamento software.

Perché non posso usare Immuni sul mio smartphone? Immuni è compatibile solo con gli smartphone Apple e Android venduti dal 2015 in poi. E su questo c’è poco da fare. Il motivo è semplice: i modelli precedenti, anche se funzionanti, sono considerati obsoleti dai produttori dei dispositivi, che sono le stesse aziende che hanno realizzato il sistema su cui si basano Immuni e le app di tracciamento dei contatti di altri Paesi: Apple e Google. Nel caso dell’iPhone, il telefono deve avere installato il sistema operativo iOS 13.5 o superiore, ovvero dal modello 6S in poi. Sul fronte Android è un po’ più complesso. Si parte dalla versione 6.0 (Marshmallow), e il telefono deve avere a bordo il Bluetooth Low Energy e Google Play Services in versione 20.18.13 o superiore. I modelli precedenti non sono abilitati a ricevere le app, gli aggiornamenti e spesso non possono proprio accedere agli store di app.

Nel mondo iPhone, l’82 per cento dei dispositivi è compatibile con Immuni, in quello Android invece il 90 per cento. Discorso diverso per i marchi Huawei e Honor. Visto il bando Usa è possibile utilizzare Immuni solo sui telefoni usciti prima del 16 maggio 2019 (il giorno del bando appunto), gli unici che possono accedere al Google Play Store. Il problema è che a rimanere tagliata fuori è la fascia d’età più a rischio: quella degli anziani, in possesso di modelli datati e magari ereditati da figli e nipoti. A Singapore il governo ha ovviato al problema distribuendo piccoli device che svolgono la stessa funzione di una app. Un’altra strada possibile sarebbe quella di mettere a disposizione incentivi alla rottamazione dei cellulari che non supportano Immuni.

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere della Sera




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