”C’è un uomo nel letto N°. Trema e fissa il vuoto. Mi avvicino, gli tocco la mano ed è fredda.
Lo guardo negli occhi. Sono bagnati dalle lacrime. Gli chiedo se ha freddo e lui, ricambiando lo sguardo, annuisce. Sistemo il saturimetro, il groviglio di deflussori che sono finiti sotto la spalla, la busta delle urine che tira un po’, cambio i Red dot un po’ scollati, gli sistemo i fili del monitoraggio cardiaco.. quanti fili santo cielo, è già solo un caos capire da dove iniziano e dove finiscono.
Gli sistemo le lenzuola e le coperte, la camicia da notte, il cuscino e i capelli arruffati. Gli chiedo “stai meglio ora?” e mi annuisce. “Hai ancora freddo?” e mi fa cenno col capo di no. Le mie mani stringono la sua, provo a scaldargliela, magari un po’ del mio calore gli arriva.
Sotto 3 paia di guanti… Il freddo di un altro corpo lo sento lo stesso. “Sei della città X?” E lui annuisce. Non può parlarmi, ha la CPAP bloccata sul suo viso, gli dà una pressione forte di ossigeno che lo obbliga a stare fermo, a non parlare, a dipendere da lei nei respiri.
I cinturini che ancorano questa maschera al viso sono stretti molto forti, devono stare così, ma a lui danno tanto fastidio. E il naso comincia a piagarsi a causa della pressione. Nella stessa stanza ci sono altri pazienti, messi un po’ meglio e un po’ peggio di lui. Io al posto suo sarei terrorizzata.
Ma se osservo bene il suo sguardo, il terrore in quegli occhi lo vedo eccome. Vedo un padre, un fratello, un marito, un nonno terrorizzato. Ad un certo punto prova a dirmi qualcosa, credo di capire “toglimi la maschera, non ce la faccio più” e io rispondo “non posso Antonio, vorrei tanto, so che non la sopporti più, ma ti serve per dare ossigeno ai polmoni, se te la tolgo non respiri”.
Antonio fa un’espressione di resa, chiude gli occhi e si abbandona. “Antonio” e riapre gli occhi “non devi arrenderti, ce la dobbiamo fare”… Mi guarda negli occhi, cioè scusate, mi trapassa visiera, occhialini, occhiali, tuta, divisa e cuore con lo sguardo: per un momento io e lui ci guardiamo intensamente.. mi stringe forte con la mano, che è ancora tra le mie. Chissà cosa sta pensando…
Io, vi devo dire la verità, sento salire le lacrime… e penso “ma come si fa a sopportare tutto questo?”… però mi blocco subito: se io mollo, se i miei colleghi mollano, come finirà questa storia? È stata dura la prima ondata. È più dura la seconda. Mi sento sempre più vulnerabile, questo virus lo sento sempre più vicino, sento che mi sta inseguendo, circondando. Ma finché non mi prende, io non mi faccio prendere.
Mi devo riprendere. Devo continuare a lavorare, non posso permettermi una debolezza del genere. “Antonio, è tardi. È ora di dormire. Prova a dormire un po’”. Lui mi fa cenno di sì e chiude gli occhi. Gli lascio la mano, tolgo i guanti, mi igienizzo quelli che ho sotto e ne rimetto un altro paio..e vado avanti…chissà, forse domani lo rivedrò..
Questa piccola parentesi personale spero vi aiuti a riflettere sull’importanza delle mascherine, delle distanze, dei limiti e di tutto quello che ora siamo costretti a sopportare. Quello che vi fa sbuffare il più delle volte. Non fatelo per me. Ma per le persone come Antonio. Per i vostri cari. Che sicuramente una cosa del genere non se la meritano.”
Francesca Biscosi
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