La procedura, sviluppata dai ricercatori dell’Università del Michigan, si basa su una sorta di biopsia del liquido spinale.
Uno studio condotto da Carl Koschmann e dai suoi colleghi dell’Università del Michigan, pubblicato su Clinical Cancer Research, ha evidenziato che, grazie a un nuovo metodo di sequenziamento del Dna, è possibile eseguire una sorta di biopsia del liquido spinale, fondamentale per lo screening delle neoplasie cerebrali infantili.
I ricercatori hanno utilizzato la tecnologia di sequenziamento del Dna attraverso i nanopori, che registra le variazioni di corrente elettrica generate dal passaggio di molecole biologiche attraverso i minuscoli fori in una superficie di raccolta. A valori diversi corrispondono lettere diverse del codice genetico, il che permette il sequenziamento del materiale genetico presente nel campione. Il campione oggetto di studio era composto da 12 pazienti affetti da gliomi a elevata malignità.
Gli scienziati hanno cercato la presenza di Dna tumorale nel loro liquido spinale grazie a un dispositivo realizzato da Oxford Nanopore Technologies, azienda spin-off dell’Università di Oxford. “Il dispositivo, che costa circa 1.000 dollari, pesa circa mezzo chilo e può essere collegato a un laptop, richiede quantità di liquido spinale significativamente inferiori
rispetto ad altri metodi di sequenziamento”, spiegano i ricercatori.
Sono stati analizzati quasi 130 campioni, ottenendo conferma dell’efficacia dello strumento di diagnosi al pari di altri metodi di sequenziamento. “Siamo entusiasti della possibilità di monitorare i tumori senza esporre i pazienti a potenziali complicazioni da interventi chirurgici invasivi”, sottolineano gli autori.
La tecnologia permette, infatti, di scoprire in maniera rapida e affidabile se vi siano mutazioni nei gliomi, grazie a un utilizzo inedito del liquido spinale. “Siamo ottimisti sull’uso di questo approccio diagnostico, che consentirà di progettare studi clinici sulle neoplasie cerebrali pediatriche allo scopo di monitorarne gli aspetti molecolari per valutare meglio i risultati clinici dei trattamenti utilizzati”, conclude Koschmann.
Redazione Nurse Times
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