Le donne, che hanno lavorato per anni nel reparto di Chirurgia uomini, sostengono di essere state esposte a sostanze nocive per la mancanza di adeguate protezioni. Il San Giovanni respinge le accuse.
Sette ex infermiere dell’ospedale San Giovanni di Bellinzona (Svizzera) incolpano la struttura per le loro patologie a loro dire provocate dall’aver maneggiato per decenni, senza le giuste protezioni, farmaci chemioterapici e formaldeide.
In una lettera inviata nella primavera del 2019 le infermiere chiedevano all’ospedale di indagare sui possibili nessi tra le loro patologie (malattie autoimmuni e tumori) e il lavoro svolto in corsia nel periodo che va dagli anni Settanta all’inizio degli anni Duemila. Tutte e sette avevano lavorato nel reparto di Chirurgia uomini e sostengono di essere state esposte a sostanze nocive: chemioterapici e formaldeide, quest’ultima contenuta nel Buraton, un prodotto usato fino agli anni Ottanta per disinfettare le superfici. Una di loro è morta nella primavera scorsa.
Il problema sarebbe quello di aver preparato le chemioterapie “in un locale piccolissimo, senza guanti, senza manicotti, senza alcuna visiera”. Un locale, cioè, privo di misure di protezione personale, e per giunta non dotato di “campana” di aspirazione.
A seguito della lettera l’ospedale ha dato incarico a un gruppo di specialisti di effettuare analisi sulla base delle cartelle mediche delle infermiere. Nei primi mesi del 2020 la conclusione: “La ricerca non ha permesso di definire nessi di causalità diretti conclusivi tra chemioterapici/formaldeide e le patologie sviluppate dalle collaboratrici”.
Ma le infermiere non si arrendono e chiedono ulteriori approfondimenti su quando e perché negli anni sono state introdotte misure di sicurezza supplementari (guanti, occhiali) per maneggiare i chemioterapici. Dal canto suo l’ente ospedaliero, in una lettera dello scorso luglio, ha rilevato che la vicenda sarebbe caduta in prescrizione. Tesi che il legale del gruppo di infermiere contesta, facendo notare che lo stesso ente dovrebbe avere anche una responsabilità sociale e, probabilmente, l’obbligo morale di fare chiarezza.
Redazione Nurse Times
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