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Coronavirus e diffidenza sui vaccini, Ippolito (Spallanzani): “Fiducia nel buon senso degli italiani”

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Coronavirus e diffidenza sui vaccini, Ippolito (Spallanzani): "Fiducia nel buon senso degli italiani"
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Il direttore scientifico dell’Istituto romano, intervistato da Repubblica: “Vietiamo viaggi e cene a chi non è immunizzato”.

È ottimista, Giuseppe Ippolito (foto). Per il direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma i vaccini ci permetteranno, se non di debellare il coronavirus, almeno di tornare a una vita normale. E lo scetticismo non inficerà il risultato.

L’esitazione ha pesato nella prima fase della vaccinazione?
«Direi per nulla. In questa prima fase il vero problema, come noto, è la
mancanza della materia prima: il vaccino, appunto. Nel primo mese l’accettazione è stata altissima in quanto gli operatori sanitari hanno la percezione del problema, conoscono i rischi e purtroppo hanno pagato un prezzo altissimo in termini di vite e stress lavorativo. Direi anzi che in questo momento la domanda di vaccino supera di gran lunga l’offerta: nel Lazio il sistema informatico per la prenotazione degli over 80 ha registrato 100mila prenotazioni nel primo giorno di attività».

Diventerà un problema in futuro?
«Mi auguro di no, ho fiducia che nella loro grande maggioranza gli italiani
abbiano capito l’importanza del vaccino, nell’interesse di se stessi anzitutto e poi della collettività. L’adesione collettiva alle regole di distanziamento, che in Italia è generalmente molto elevata e non certo per costrizione, dimostra che se le cose vengono spiegate chiaramente la gente le capisce e si comporta di conseguenza. Sono in corso al mondo numerosi studi per valutare la quota di esitanti. Una nuova indagine Ipsos condotta in collaborazione con il World Economic Forum alla fine dello scorso anno in 15 Paesi dava per l’Italia una percentuale di un terzo degli intervistati e simile a quella di Germania e Spagna, una percentuale sostanzialmente stabile rispetto a quella della precedente rilevazione di ottobre».

Dove si concentra l’esitazione?
«Ci sono cinque tipi di persone che rifiutano il vaccino o non sono molto
propensi a farlo: quelli che pensano di non essere a rischio di ammalarsi;
quelli che non capiscono o non vogliono capire l’importanza della vaccinazione come atto civico; quelli che hanno dubbi sulla sua efficacia; quelli che hanno paura degli effetti collaterali; quelli che pensano che sia stato sviluppato troppo alla svelta. Per ognuna di queste categorie occorrono argomenti diversi».

L’Italia è messa peggio di altri Paesi?
«Sino a pochi anni fa avrei detto peggio: ricordiamo tutti il successo che
riscuotevano gli spettacoli di un comico contro i vaccini e le polemiche che ci furono quando il calo delle coperture costrinse il Parlamento a reintrodurre la vaccinazione obbligatoria per i bambini. Oggi le cose sembrano andare meglio, altri Paesi – penso alla Francia – sembrano messi ben peggio di noi».

A che punto è la campagna per contrastare l’esitazione?
«Questo non è il mio campo, ci sono fior di specialisti che se ne occupano. Posso soltanto dire che in Africa per vaccinare le persone è fondamentale il
coinvolgimento dei community leader, soprattutto i leader religiosi, ed anche negli Stati Uniti mi sembra che si stia adottando lo stesso approccio in molte comunità etniche: il pastore che durante il sermone domenicale ti invita a vaccinarti, e magari ospita anche la vaccinazione nei locali della chiesa, può convincere molte più persone di una costosa campagna sui media. Si tratta di declinare lo stesso approccio anche nel nostro paese, magari individuando e coinvolgendo anche gli influencer sui social media. Ma ripeto, non è il mio campo».

Una patente di immunità potrebbe essere un incentivo?
«Non parlerei di incentivo o premio. Piuttosto sottolineerei il fatto che molte attività, che comportano rischio di assembramento in una situazione di pandemia ancora non superata, dovranno essere precluse a chi non è vaccinato: andare al ristorante, al cinema, allo stadio, prendere un aereo, e così via. Queste misure e questi divieti, ovviamente, potranno essere adottati soltanto dopo che il vaccino sarà diventato largamente disponibile a tutti, altrimenti sarebbero soltanto un fattore discriminante».

In estate, con poco virus, ci dimenticheremo di vaccinarci?
«Ho fiducia nel buon senso delle persone. Direi, anzi, che un bel vaccino prima delle ferie ci permetterebbe di fare le vacanze con meno pensieri, e magari anche di fare quel viaggio all’estero che da un paio di anni è diventato un miraggio».

Presto avremo più vaccini che persone disposte a vaccinarsi?
«Penso che serviranno tanti vaccini e di tipi diversi, anche perché non è detto che basterà vaccinarsi una volta e saremo a posto per sempre; magari scopriremo che alcuni vaccini vanno bene per alcuni gruppi di età, oppure dovremo adattare la loro formulazione alle varianti virali che stanno già venendo fuori. Uno degli scenari più verosimili è che questo virus diventi endemico, e che tutti noi attraverso i vaccini e le infezioni naturali acquisiremo livelli crescenti di immunità sino a riuscire a limitare al massimo le forme gravi di questa malattia, che a quel punto diventerebbe una sorta di influenza contro la quale fare il richiamo vaccinale ogni anno o due».

Potremo scegliere il vaccino?
«Nel Paese di Coppi e Bartali non potevano mancare le dispute sul vaccino
migliore. Battute a parte, ci sono due punti fondamentali che vanno chiariti. Il primo è che quando un vaccino viene approvato dall’Ema e dall’Aifa, può essere utilizzato in tutta fiducia, perché le sue caratteristiche sono state esaminate nei minimi dettagli. Il secondo aspetto, che forse non è chiaro a tutti, è che le percentuali di efficacia di cui si parla – questo vaccino il 95%, quello il 59%, e così via – si riferiscono alla capacità di prevenire tutte le forme sintomatiche della malattia. Se parliamo invece della capacità di evitare le forme gravi della malattia, l’efficacia di tutti i vaccini approvati, ma anche di altri di cui conosciamo i dati, come Johnson&Johnson o Sputnik, è analoga per tutti, ed è il 100%. Detto in altre parole: può darsi che un mese dopo essermi vaccinato mi prenderò l’infezione, ma di sicuro non finirò in ospedale o in terapia intensiva: me la curerò a casa, come avviene con l’influenza».

L’esitazione potrebbe farci mancare l’immunità di gregge?
«Se per immunità di gregge intendiamo bloccare totalmente il virus ed eradicarlo, ho seri dubbi che riusciremo mai a raggiungerla, anche perché dovremmo riuscire a vaccinare sette miliardi di persone in pochi mesi e perché finora è stato eradicato solo il vaiolo. Vaccinarsi serve – è questo il messaggio più importante – per tornare alla normalità, per mettere sotto controllo questa malattia, per fare il modo che non torni a riempire i nostri ospedali di gente che soffoca e per ridurla a un malanno di stagione, così come gli altri quattro coronavirus endemici umani che provocano semplici raffreddori».

Redazione Nurse Times

Fonte: la Repubblica

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