I soggetti colpiti dalla malattia di Crohn sono caratterizzati dall’eccessiva presenza di un batterio intestinale: l’Escherichia coli aderente-invasivo o adherent-invasive Escherichia coli (AIEC). Lo spiega uno studio pubblicato su Cell Host and Microbe. Secondo la ricerca, è questo batterio che stimola l’infiammazione dell’intestino attraverso l’interazione con le cellule del sistema immunitario presenti nel rivestimento dell’intestino.
Randy Longman, professore di medicina e direttore del Jill Roberts Center for Infiammatory Bowel Disease alla Weill, ha dichiarato che di potrebbe trattare di un “punto debole nei batteri terapeuticamente individuabile“.
La ricerca ha coinvolto l’1,2-propandiolo, un sottoprodotto della degradazione del fucosio, un tipo di zucchero, che si trova nel rivestimento dell’intestino, che viene impiegato dagli AIEC per crescere poiché viene convertito in propionato. Durante questo processo, però, vengono coinvolti anche alcune specifiche cellule del sistema immunitario, i fagociti mononucleari, le quali innescano l’infiammazione. Gli studiosi hanno successivamente ingegnerizzato alcuni batteri AIEC in modo che non avessero un enzima chiave coinvolto in questo processo denominato propandiolo disidratasi. I batteri AIEC senza propandiolo disidratasi non provocavano l’infiammazione nei topi con malattia di Crohn.
Monica Viladomiu, una delle ricercatrici impegnate nello studio, ha spiegato che: “Cambiare un percorso metabolico in un tipo di batterio può avere un grande impatto sull’infiammazione intestinale”.
La speranza, riporta tech.icrewplay.com, è quella di riuscire a sviluppare un trattamento terapeutico che mirino alla causa del morbo di Crohn, senza intaccare, come accade con l’impiego di antibiotici, anche i batteri non coinvolti nella malattia e che invece hanno una funzione benefica.
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