L’indice di rischio secondo l’Ecdc è alto/molto alto. Dalla parte dei favorevoli al lockdown totale c’è il virologo Crisanti: “Andava fatto già a dicembre”. Il direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, è invece contrario: “Bastano chiusure chirurgiche”, quindi solo dove è necessario. Ecco un confronto tra i pensieri divergenti sulla possibilità di un nuovo lockdown totale anti Covid.
Tre pensieri distinti: chi è favorevole, chi è contrario, e chi penserebbe ad una soluzione intermedia. La proposta di un lockdown totale lanciata dal consigliere del ministro Speranza, Walter Ricciardi, ha suscitato grandi discussioni. Non solo quelle politiche, ma anche quelle degli esperti del settore, di nuovo divisi tra le varie soluzioni.
Di seguito la nuova richiesta dell’ISS: vista la circolazione nelle diverse zone dell’intero “si raccomanda di intervenire al fine di contenere e rallentare la diffusione della variante VOC 202012/0 (la variante inglese, ndr), rafforzando o innalzando le misure in tutto il paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto“.
Perchè un nuovo lockdown? La preoccupazione generale sale, anche l’Ecdc ha aggiornato il livello di rischio come “alto/molto alto”
In Italia la linea di Ricciardi è già delineata – “un lockdown breve e mirato, di 2, 3 o 4 settimane”, ossia il tempo necessario a riportare l’incidenza di Covid-19 al di sotto dei 50 casi per 100mila abitanti – s’è schierato subito il virologo Andrea Crisanti, “l’uomo dei tamponi del Veneto”, come veniva chiamato per la sua insistenza sull’importanza e l’efficacia del sistema di tracciamento: piuttosto che pensare a sciare e mangiare fuori – è la sintesi del suo pensiero – anche in Italia dovremmo decidere un lockdown come è stato un anno fa a Codogno, ormai le zone , giudicate “troppo morbide”, non bastano più. Anzi, “il lockdown andava fatto già a dicembre, ora – spiega – è fondamentale una chiusura dura per evitare che la variante inglese diventi prevalente e abbia effetti devastanti. D’altronde così è in Germania, Francia e Inghilterra“.
E’ proprio per le nuove varianti che anche Massimo Galli, direttore di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, sostiene la tesi di Ricciardi: “Le nuove varianti portano sicuramente più infezioni e più problemi – sottolinea – E purtroppo la conclusione non può che essere la soluzione paventata dal professor Ricciardi. Il sistema della divisione dell’Italia a colori – aggiunge Galli- non sta funzionando. E la prova è nei fatti“.
Tra i favorevoli troviamo anche Mastroianni, direttore del Dipartimento di Malattie infettive del Policlinico Umberto I di Roma: “Non voglio entrare nella polemica – dice – ma siamo in una situazione preoccupante. Ora più che mai serve la massima attenzione e bisogna stare molto accorti e valutare misure più stringenti e anche l’idea di un lockdown. Siamo di fronte a una settimana decisiva“.
Tra gli assoluti contrari al lockdown c’è invece Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani di Roma
“Un lockdown totale secondo me non serve – spiega – ma bastano lockdown chirurgici laddove se ne verifichi la necessità. Non si tratta, dunque, di aggravare le misure, ma applicare con severità quelle che abbiamo: non ci fate vedere più assembramenti – è il suo appello – così riguadagneremo in futuro spazi di libertà“.
Stesso pensiero per Pierluigi Lopalco, epidemiologo ma anche assessore alla Sanità in Puglia, che predilige soluzioni più mirate: “Semmai in questo momento penserei a delle misure selettive, rafforzate, per evitare tutte quelle situazioni in cui virus circola di più e che conosciamo ormai bene“.
Per l’esperto, meglio tentare prima una via “più accettabile” anzichè un lockdown, provare a “rivedere i parametri di aperture e chiusure, essere più flessibili.
Secondo Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, “minacciare continuamente il lockdown non serve a nulla. L’Italia ha fatto una scelta ed è quella di convivere con il virus. Abbiamo una situazione epidemiologica di stallo, in cui i numeri si stanno mantenendo costanti. È quindi obbligatoria una cautela, ma ridiscutere oggi di fare o meno un lockdown nazionale non serve a nulla“.
Per Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, parlare di lockdown equivale ad ascoltare un disco rotto: “Non siamo alla soglia di un nuovo lockdown – afferma poi Bassetti spiegando la sua posizione – Dobbiamo avere un po’ di pazienza e di ordine, e le boutade non aiutano. I numeri dicono che abbiamo il 5% dei positivi, le ospedalizzazioni sono calate e la situazione non è di emergenza. Se c’è aumento dei casi e dei ricoveri, si dovrà intervenire a livello locale con le chiusure“
Giorgio Sestili invece lavora dagli inizi della pandemia al progetto Coronavirus – Dati e analisi scientifiche, e sostiene una tesi intermediaria: “Io credo ci sia una misura intermedia tra lockdown generalizzato e 14 Regioni in giallo, come la chiusura di tutte le attività più a rischio, scuole comprese. Sarei favorevole al lockdown solo se in paralello ci fosse una campagna vaccinale di massa: allora ne usciremmo con una curva al minimo e immuni. Ma così non è perché mancano i vaccini e allora penso che vadano inaspriti i parametri di rischio delle Regioni e le misure“.
L’epidemiologo Vespignani: “La variante inglese è destinata a raddoppiare nelle prossime due settimane”
Proprio in questi giorni lo scienziato italiano Vespignani ha calcolato l’andamento del ceppo britannico a Roma e Milano: “A fine febbraio arriverà al 50% e a marzo diventerà prevalente”. Per evitare che si traduca in un aumento dei contagi è importante mantenere l’indice Rt basso oggi.”
Fonte: La Repubblica
Arianna Michi
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