Si tratta della Neuraminidasi 3 (Neu3). Lo hanno scoperto i ricercatori del Sanford Burnham Prebys.
Potrebbe essere un ottimo obiettivo per contrastare efficacemente la colite, l’enzima che, come hanno scoperto alcuni ricercatori guidati da Jamey Marth, del Sanford Burnham Prebys, sembra avere un ruolo importante in questa patologia. I ricercatori hanno infatti scoperto che il l’enzima Neuraminidasi 3 (Neu3), presente nell’intestino, può essere responsabile dell’insorgenza così come della progressione della colite.
La colite è una condizione cronica che riguarda l’apparato digestivo ed è provocata da un’infiammazione del colon. Sono milioni le persone in tutto il mondo che soffrono di questo disturbo, uno dei più diffusi dell’apparato digerente. Secondo quanto spiega Marth, un aumento dell’attività dell’enzima Neu3 può innescare un processo a catena a livello infiammatorio che può poi provocare la patologia. Come spiega il ricercatore, il fatto che fosse coinvolto un enzima neuraminidasi nella colite era cosa già conosciuta, ma non si sapeva con precisione quale fosse l’enzima in questione, cosa che questo studio ha chiarito. I ricercatori hanno fatto esperimenti su topi con un modello di colite caratterizzato da varie intossicazioni alimentari che sono abbastanza ricorrenti nell’essere umano. In particolare quella provocata dal batterio Salmonella enterica Typhimurium.
Questo agente patogeno sfrutta il naturale processo di invecchiamento delle proteine presenti nell’intestino per diminuire l’espressione di un enzima antinfiammatorio, la fosfatasi alcalina intestinale. Questo enzima ha un ruolo nella disintossicazione delle tossine batteriche. Quando il patogeno della salmonella si introduce nell’intestino, fa partire il sistema immunitario, aumentando l’espressione dell’enzima Neu3, spiega ancora il ricercatore. Questo aumento di attività poi porta a una durata più breve della vita della fosfatasi alcalina intestinale. Il corpo, dunque, è meno capace di contrastare l’endotossina dannosa del batterio nell’intestino e ne segue l’infiammazione cronica.
I ricercatori hanno scoperto che, inibendo l’enzima Neu3 (con un farmaco antivirale denominato Relenza, di solito utilizzato per l’influenza), si poteva interrompere questa complessa catena di eventi andando a ridurre l’espressione delle citochine infiammatorie, e dunque prevenendo l’insorgenza della colite. Ma si tratta sempre di inibitori della Neuraminidasi pensati per un altro tipo di patologia, e dunque andrebbero riformulati in modo che si adattino per la colite, qualora eventuali studi clinici sull’uomo confermassero queste scoperte. Durante gli esperimenti sui topi, infatti, i ricercatori hanno dovuto aumentare le dosi orali di Relenza a livelli molto al di sopra di quelli consigliati per un essere umano. Tuttavia queste dosi massicce non sembravano causare effetti collaterali apparenti.
“Sulla base della prova genetica nel nostro studio ci si aspetterebbe che l’inibizione di Neu3 abbia un impatto terapeutico positivo – spiega ancora Marth –. Ma c’è anche un’altra opzione: l’aumento della IAP (fosfatasi alcalina intestinale, n.d.r.) sembra essere ugualmente vantaggioso. Forse un duplice approccio che includa sia l’inibizione orale di Neu3 che l’aumento della IAP orale contemporaneamente potrebbe essere ancora più efficace nel ridurre l’infiammazione e prevenire l’insorgenza della colite”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Notiziescientifiche.it
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