Chiesto il rinvio a giudizio per alcuni dirigenti della struttura, dell’Asl e del 118, che avrebbero lasciato morire numerosi pazienti perché… “tanto sono molto anziani”. Contestati omicidio colposo e omissione di atti d’ufficio. Caduta l’accusa di epidemia colposa.
Il Covid girava da giorni nelle stanze della Rsa di piazza Mazzini, a Vercelli. Gli ospiti si ammalavano e morivano. Si ammalava il personale e non si riusciva a sostituirlo. La sera del 19 marzo dell’anno scorso la situazione era così compromessa che la struttura chiese l’intervento del 118. Diversi anziani erano in gravi condizioni, ma all’ospedale di Vercelli c’era un solo posto in Terapia intensiva, e ben presto anche quello fu occupato da un paziente interno, che si era aggravato.
Che fare? Anziché cercare posto in altri nosocomi della zona, si decise di “lasciarli morire nel loro letto”, applicando il cosiddetto triage militare, che si applica quando, non potendo curare tutti, si decide di soccorrere chi ha più probabilità di salvarsi: “Stiamo parlando di vecchietti da 85 a 96 anni… Ho fatto il medico per salvare tutti, ma in questo caso bisogna andare giù duri… Ho parlato con l’unità di crisi, con la vostra direzione sanitaria e con te, concordiamo tutti a lasciarli al loro posto belli tranquilli”. Così il medico della Centrale operativa del 118 nelle telefonate registrate e acquisite dalla Procura, parlando con l’ospedale di Vercelli. “A posto – si sente rispondere –, anche io farei… presto dovranno portare le bare”. E in effetti cinque degli anziani che quella sera necessitavano di un ricovero morirono il 20, il 21 e il 24 marzo.
Era stato, per il Piemonte, come il caso del Pio Albergo Trivulzio, con un elenco di morti che si aggiornava di giorno in giorno. Alla fine sono state 49 le vittime per il Covid in Rsa accertate dalla Procura, che ora ha chiuso le indagini e chiesto il rinvio a giudizio a carico di sei persone, tra i vertici della struttura e dirigenti dell’Asl e del 118, che secondo gli investigatori avevano mal gestito l’emergenza.
Il pm Carlo Introvigne, che ha raccolto l’inchiesta avviata dal pm Davide Pretti, ha però cambiato l’impostazione iniziale dell’indagine e, oltre ad aver stralciato dal fascicolo alcune posizioni minori, ha fatto cadere le accuse di epidemia colposa, per le quali ha chiesto l’archiviazione. Per i sei indagati per i quali è stato chiesto il processo, dunque, restano in piedi le contestazioni di omicidio colposo e di omissione di atti d’ufficio.
La strada imboccata dalla Procura di Vercelli, guidata dal procuratore capo Pier Luigi Pianta, è dunque in linea con la giurisprudenza tracciata dalla Cassazione, che riconosce l’esistenza del reato di epidemia colposa solo per chi assume dei comportamenti che provochino la diffusione del virus, e non a chi, omettendo di compiere delle azioni, lasci il virus libero di circolare e uccidere.
Redazione Nurse Times
Fonte: la Repubblica
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