Se ne è discusso durante un convegno promosso dall’Ordine dei medici di Parma. Hanno partecipato numerosi presidenti Omceo da tutta Italia.
Si rende necessaria una normativa che si esprima nel riconoscimento del medico come “responsabile unico del percorso clinico del paziente” e che, al contempo, precluda ogni decisione unilaterale amministrativa che vada a incidere sugli ambiti di professionalità peculiari del medico. I recenti approcci verso una task shifting con le altre professioni sanitare sono infatti impensabili se si vuole garantire il bene salute, che si assicura solo con un lavoro collegiale, nel rispetto di ruoli e specifiche competenze acquisite con la formazione e l’esperienza.
È quanto evidenziato durante il convegno nazionale “Atto e ruolo medico dieci anni dopo – Aspetti professionali, etici e deontologici”, che si è svolto il 19 novembre scorso al Campus Universitario di Parma, con la partecipazione di Filippo Anelli, presidente nazionale Fnomceo, e di Alberto Oliveti, presidente nazionale Enpam.
Nel corso dell’incontro, sono intervenuti diversi presidenti Omceo d’Italia: Salvatore Amato (Palermo), Guido Giustetto (Torino), Giuseppe Guerra (Cuneo), Marco Ioppi (Trento), Giovanni Leoni (Venezia – vicepresidente nazionale Fnomceo), Claudio Lucia (Asti), Antonio Magi (Roma), Roberto Monaco (Siena – segretario Fnomceo), Umberto Quiriconi (Lucca), Bruno Zuccarelli (Napoli).
Hanno inoltre portato le loro tesi anche Maurizio Benato, componente del Comitato nazionale di Bioetica, Claudio Buccelli, professore emerito di Medicina legale all’Università Federico II di Napoli, Gianfranco Iadecola, giurista, già magistrato della Corte di Cassazione, e Antonio Panti, già presidente di Omceo Firenze.
Ne è emerso un Position paper che sottolinea, in conclusione, come “si rende necessaria una tutela in ambito della gestione della salute che deve esprimersi nel riconoscimento del ruolo del medico come responsabile unico del percorso clinico del paziente e, nello stesso tempo, nella preclusione di ogni decisione unilaterale amministrativa che vada a incidere sugli ambiti di professionalità peculiari del medico”.
“Il medico è il garante della democrazia del bene – ha detto Anelli –. E credo rappresenti un valore fondamentale all’interno della nostra Repubblica, come custode dei principi costituzionali, tra cui il diritto alla salute, ma anche alla vita, all’autodeterminazione e all’uguaglianza. In base a questa convinzione crediamo occorra una normativa in grado di definire esattamente il suo ruolo, riconoscendo la sua funzione sociale, ampiamente dimostrata durante la pandemia. Sin dalle prime fasi dell’emergenza, infatti, ha messo in campo le sue competenze non solo cliniche ma anche organizzative, ha elaborato strategie e piani di intervento, è stato protagonista di progetti di ricerca e sviluppo di terapie in grado di fronteggiare la malattia. E soprattutto ha posto al centro il bene comune, con abnegazione e spirito di sacrificio. Un’evidenza circa l’indispensabilità del suo ruolo che stona con un orientamento politico amministrativo che, di fronte a una vacatio legis, sta ingenerando un clima conflittuale e di confusione con le altre professioni sanitarie, circa chi deve fare cosa, soprattutto in campi di confine come l’emergenza-urgenza. Ma non solo. Ecco perché bisogna differenziare e ben definire l’agire, tra funzioni e responsabilità, partendo dalla storia, dall’esperienza e dalla cultura”.
Sulla stessa linea Pierantonio Muzzetto, presidente di Omceo Parma e coordinatore della Consulta deontologica nazionale Fnomceo: “Una buona sanità presuppone che i risultati trovino compimento in un lavoro collegiale fondato sulla collaborazione multiprofessionale, nel rispetto delle singole autonomie individuali. Non sono contemplabili a nostro parere modelli organizzativi ‘liquidi e indefiniti’, dettati da stilemi ‘politici’ che nulla hanno a che vedere con la buona sanità, ma traggono origine da intenti economicistici. Il naturale sviluppo delle professioni deve essere garantito nel rispetto del limite dell’agire di ciascuna figura e del ruolo e funzione determinati dalla formazione, ufficiale e riconosciuta. Ogni competenza non acquisita secondo il riconosciuto piano formativo, condurrebbe ad improprie e pericolose duplicazioni professionali con problemi di responsabilità dell’agire e nel coordinamento degli interventi di salute ”.
Ecco perché – sottolineano gli Ordini dei medici – “se si vogliono attribuire funzioni mediche ad altre professioni, bisognerà riscrivere corsi di laurea che abilitino alla competenza, tirocini e percorsi di aggiornamento continuo compresi”. Per questo è auspicata “una definizione legislativa che riconosca il medico come unico leadership nel sistema di cura e assistenza”. Anche perché, sottolineano ancora gli Ordini, “la professione sottende, oltreché il possesso di specifiche competenze, un rapporto fiduciario binario, basato sul consenso, sulla conoscenza e sull’esperienza, secondo un principio di responsabilità inderogabile e di garanzia nei confronti del cittadino e dello Stato”. E infine “è urgente colmare l’attuale handicap legislativo che vede l’abbondante messe normativa che riguarda le professioni sanitarie oltremodo sproporzionata a fronte dell’inesistenza di una garanzia giuridica”.
Redazione Nurse Times
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