Dopo la condanna all’ergastolo in primo grado, è caduta l’accusa di omicidio volontario plurimo e aggravato per la 58enne che lavorava all’ospedale Villamarina.
«Mentre piangevo, ancora frastornata, mio figlio mi ha baciata e mi ha detto che era convinto che sarei stata assolta. Mi è stato sempre vicino, questo figlio dottore, mi ha dato la forza, ha creduto in me e io non l’ho tradito, non solo come mamma, ma anche come infermiera». Sono dedicate al figlio Andrea, medico in ospedale a Firenze, le prime parole pronunciate in un intervista al Corriere della Sera da Fausta Bonino, l’infermiera 58enne che la Corte di assise d’Appello di Firenze ha assolto dall’accusa di omicidio volontario plurimo e aggravato.
Su di lei pendeva il sospetto relativo a dieci morti avvenute nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Villamarina di Piombino (Livorno), dove lavorava, tra il settembre del 2014 e il settembre del 2015. «Per sei anni lunghissimi mi hanno accusato di aver assassinato con iniezioni di eparina dai quattro ai quattordici pazienti – ha proseguito la donna, che si è sempre proclamata innocente –. Per me questo ha significato il male assoluto, non solo come donna e come mamma di due figli, uno dei quali medico, ma come infermiera. Io, le vite, le ho salvate, non soppresse. E solo il sospetto era insopportabile. Chi mi conosce sa come ho lavorato in reparto. Non mi sono mai risparmiata, ho lavorato da sola, anche con turni pesantissimi, e l’ho fatto con amore e dedizione».
Quella di Fausta Bonino è stata una travagliata vicenda giudiziaria. In primo grado, il 19 aprile del 2019, fu condannata all’ergastolo, sebbene riconosciuta colpevole solo per quattro delle dieci morti sospette, perché in quei casi sarebbe stata accertata la sua presenza in reparto. Fu poi iscritta nel registro degli indagati nel dicembre del 2015 e arrestata il 30 marzo del 2016 perché sospettata di aver ucciso una serie di pazienti durante la loro degenza nel reparto di Anestesia e rianimazione.
Il 20 aprile 2016 il Tribunale del riesame di Firenze annullò l’ordinanza di custodia in carcere e Bonino fu rimessa in libertà. Secondo l’accusa, pianificò e causò la morte di dieci persone mediante l’uso “deliberato e fuori dalle terapie prescritte” di eparina in dosi tali da “determinare il decesso”, provocato da improvvise emorragie.
Nel dicembre del 2017 fu depositata la relazione degli esperti che certificò come dieci delle morti sospette verificatesi nell’ospedale di Piombino nel periodo preso in esame fossero compatibili con la somministrazione di eparina. Infine la sentenza di assoluzione pronunciata ieri dalla Corte di assise d’Appello di Firenze.
«Il momento più difficile – racconta al Corriere – è stato l’arresto nel marzo del 2016. Mi chiusero in una cella del carcere Don Bosco di Pisa, senza che io riuscissi a capire quale fosse l’accusa. Non potevo parlare con nessuno, neppure con mio marito e i miei figli. Tutte le carcerate giuravano di essere innocenti, ma io lo ero davvero e non parlavo. Ci sono stata 21 giorni, in galera, ed è stato terribile. Quando sono uscita, grazie al tribunale di sorveglianza, ho pensato che ormai le cose peggiori fossero passate, che la verità sarebbe venuta a galla. Poi, invece, è arrivata la sentenza di primo grado».
Una sentenza, quest’ultima, con cui il giudice monocratico del Tribunale di Livorno la condannò all’ergastolo. C’erano le prove? «No, si era indagato a senso unico. Ma non esprimo giudizi, non ho rancori. È stato un errore giudiziario clamoroso, ma per fortuna ora, a Firenze, si è dimostrato che la giustizia esiste. Lo choc di quella sentenza, però, me lo porto ancora dentro. Ero libera, in attesa degli altri gradi di giudizio, ma non riuscivo a uscire di casa. Mi sono auto-condannata ai domiciliari».
Redazione Nurse Times
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