I due sono finiti ai domiciliari. I carabinieri del Nas hanno anche eseguito 11 misure di interdizione dai pubblici uffici per 12 mesi e presentazione alla polizia giudiziaria.
“Uno lo piazzi tu, uno lo piazzo io”. Un patto di alternanza che nulla aveva a che vedere col merito, ma era alla base dell’assegnazione dei posti al Policlinico Giaccone di Palermo. Lo hanno scoperto i carabinieri del Nas del capolugo siciliano, che hanno eseguito, in collaborazione con i colleghi di Catania, Napoli e Roma, e il supporto del personale del Comando provinciale carabinieri di Palermo, due ordinanze di custodia cautelare (per padre e figlia: il primo medico in pensione e la seconda chirurgo plastico) e 11 misure di interdizione dai pubblici uffici e presentazione alla polizia giudiziaria. Il provvedimento è stato emesso dal gip di Palermo su richiesta della locale Procura.
Ai domiciliari sono finiti un ex professore universitario e direttore del dipartimento di Chirurgia dell’Azienda ospedaliera universitaria, adesso in pensione, e la figlia, chirurgo plastico in servizio all’ospedale Civico – Di Cristina – Benfratelli di Palermo. Delle 11 persone per le quali sono state disposte l’interdizione dai pubblici uffici della durata di 12 mesi e la sottoposizione all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, cinque sono in servizio al dipartimento di Chirurgia del Policlinico di Palermo (un ex professore ordinario, un professore ordinario, un professore associato, un ricercatore, un infermiere).
Un altro è un professore ordinario e direttore del dipartimento delle Discipline chirurgiche, oncologiche e stomatologiche dell’Università di Palermo. Un altro è il figlio dell’ex professore universitario e direttore del dipartimento di Chirurgia del Policlinico di Palermo, che all’epoca dei fatti prestava servizio al Policlinico di Messina e ora è invece dipendente del Policlinico di Palermo. Quattro, infine, sono professori ordinari di Chirurgia, in servizio alle Università di Roma (Campus Bio-Medico), Napoli (Vanvitelli) e Messina: hanno ricoperto le funzioni di presidenti e membri di commissioni nell’ambito di diversi concorsi universitari.
A far scattare le indagini è stata la denuncia, a giugno del 2019, di un medico del Policlinico. Agli investigatori l’uomo ha segnalato “comportamenti illeciti” posti in essere dal direttore del dipartimento, che avrebbe influenzato un concorso universitario per la nomina di un professore ordinario. Numerosi i reati contestati dall’autorità giudiziaria, a vario titolo, agli indagati (ai quali si aggiungono altre dieci persone indagate in stato di libertà): corruzione, peculato, turbata libertà di scelta del contraente, truffa, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, falso ideologico in documenti informatici, calunnia e abuso d’ufficio.
Secondo l’accusa, si puntava a “condizionare e alterare il naturale esito della procedura selettiva per la copertura di posti di professore universitario e/o ricercatori, favorendo, a prescindere dagli effettivi meriti e nell’ambito di un ‘patto dell’alternanza’ con un altro indagato, i candidati legati a uno o all’altro complice, grazie anche alla collusione di altri membri delle commissioni, spesso designati fra soggetti a loro vicini”.
Gli strumenti per pilotare i concorsi erano diversi. Secondo gli inquirenti, gli indagati agivano sia fissando criteri di valutazione dei candidati e dei loro titoli ad hoc, sia “ottenendo con la collaborazione di membri delle commissioni, minute dei punteggi provvisori attribuiti dai commissari ai candidati e raccogliendo informazioni destinate a rimanere segrete, anche allo scopo di far redigere nuove graduatorie provvisorie o inserire, nei verbali di riunione delle commissioni, criteri di selezione più favorevoli ai candidati di loro gradimento”. C’era poi un terzo, classico, strumento: la lettera di raccomandazione, “di cui veniva raccomandata l’immediata distruzione dopo la lettura, nelle quali venivano segnalati i candidati di gradimento”.
Per l’accusa il medico arrestato, grazie alla sua posizione e ricorrendo alla collaborazione di altri medici fra cui la figlia, nonostante non fosse stato presente, veniva ufficialmente inserito in equipe chirurgiche nei registri informatici del Policlinico, “attestando falsamente la sua partecipazione a interventi chirurgici, compiuti in realtà da altri medici”. Inoltre, essendo autorizzato a svolgere attività libero professionale in regime di “intramoenia interna”, si sarebbe appropriato di somme di denaro comprese tra i 100 e i 200 euro, “che costituivano i compensi pagati da 68 pazienti per visite eseguite tra luglio 2019 e ottobre 2020, senza riversare all’Azienda sanitaria la percentuale ad essa spettante”.
E’ accusato poi di non aver comunicato all’Azienda ospedaliera “lo svolgimento nel periodo di nove mesi della sua attività libero professionale, comprendente, tra le altre, proprio le visite a pagamento effettuate ai pazienti, inducendo così in errore il datore di lavoro sul rispetto del vincolo di esclusività e procurandosi un ingiusto profitto”. Inoltre l’indagato, utilizzando la sua rete di relazioni, “avrebbe usato la sua influenza su alcuni sanitari compiacenti, per far rilasciare ai suoi due figli, entrambi medici, delle false attestazioni di malattia, sia allo scopo di giustificare, mediante l’esibizione della falsa certificazione medica al datore di lavoro pubblico, nella fattispecie strutture ospedaliere, l’assenza dal servizio”.
Pubblico e privato si mescolano. Il medico sarebbe riuscito a ottenere “un referto che attestasse delle lesioni subite dalla figlia e da questa allegato successivamente a una querela contro l’ex coniuge, che conduceva all’instaurazione di un procedimento penale a carico di quest’ultimo, anche per il reato di lesioni personali aggravate”.
Redazione Nurse Times
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