A firmare la scoperta, un team di ricercatori del National Health Service Blood and Transplant del Regno Unito. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Blood.
E’ stato identificato un nuovo sottogruppo sanguigno che, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Blood, può indurre le cellule immunitarie ad attaccare le cellule non corrispondenti, cosa che accade quando i gruppi sanguigni sono incompatibili. Gli esperti ritengono che ciò potrebbe essere molto utile per medici e infermieri che incontrano difficoltà nella diagnosi.
La devastante morte di due neonati aveva incoraggiato gli scienziati a fare ricerche su un raro gruppo sanguigno individuato per la prima volta nell’uomo 40 anni fa. La scoperta riguarda, in particolare, un sottogruppo specifico di Er, che apre ora nuove porte alla prevenzione di tragedie simili in un futuro prossimo.
I medici prestano attenzione ai sistemi di gruppo sanguigno ABO e al fattore Rh, un particolare antigene (sostanza che induce una risposta immunitaria specifica da parte dell’organismo) che alcuni hanno e altri no. Nel primo caso si parla di Ph positivo, nel secondo di Rh negativo. La familiarità dei sistemi di gruppo sanguigno e fattore Rh sono cruciali nel caso di trasfusioni di sangue. Tuttavia l’ampia varietà di antigeni di superficie cellulare e loro varianti rende la situazione molto più complessa, mentre poco si sa ancora del loro impatto clinico.
Gran parte dei principali antigeni è stata identificata all’inizio del XX secolo. Er è stato identificato solo nel 1982. Nel 1988 fu scoperta la versione denominata Erb. Il codice Er3 è stato utilizzato per descrivere l’assenza di Era ed Erb. Quando un globulo è in presenza di un antigene che il corpo non ha classificato come nostro il sistema immunitario si attiva, inviando anticorpi per segnalare la distruzione delle cellule che contengono l’antigene sospetto.
In gravidanza, sebben si tratti di casi rari, può accadere che i tessuti del feto siano riconosciuti come estranei, e quindi aggrediti. Gli anticorpi generati passano attraverso la placenta, portando alla malattia emolitica nel nascituro. Oggigiorno diversi metodi vengono implementati per prevenire o trattare la malattia emolitica nei neonati. La manifestazione sporadica di questi rari anticorpi ha reso elusiva la comprensione medica fino ad ora.
Un team di ricercatori guidati dalla sierologa Nicole Thornton, del National Health Service Blood and Transplant (NHSBT) del Regno Unito, ha analizzato il sangue di 13 pazienti con gli antigeni sospetti, identificando cinque variazioni negli antigeni Er: le varianti conosciute Era, Erb, Er3 e due nuove, Er4 ed Er5. Sequenziando i codici genetici dei pazienti, l’equipaggio e il team sono stati in grado di individuare il gene che codifica per le proteine della superficie cellulare.
Sorprendentemente si trattava di un gene già familiare alla scienza medica: PIEZO1. Il gene è già associato a diverse malattie conosciute. Il team ha confermato i risultati eliminando PIEZO1 in una linea cellulare di eritroblasti, un precursore dei globuli rossi, e testando gli antigeni. PIEZO1 è necessario per aggiungere l’antigene Er alla superficie della cellula. Questo studio mette in evidenza la potenziale antigenicità anche di proteine molto poco espresse e la loro rilevanza per la medicina trasfusionale.
Redazione Nurse Times
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