All’inizio della scorsa settimana un oss si è tolto la vita, lanciandosi dalla finestra della residenza per anziani Le Palme di Arma di Taggia (Imperia). A lui un collega oss, rimasto anonimo, ha dedicato una lettera, divenuta ben ptresto virale sul web. La riportiamo di seguito.
“Si chiamava Beppe, non lo conoscevo molto bene perché era arrivato in struttura da pochi mesi, dopo le indagini per maltrattamenti, ma lui, come tanti altri operatori, era lì per dare il proprio supporto. Venendo da fuori regione, l’azienda (per la quale lavorava da anni) gli aveva assegnato un alloggio in struttura, al quarto piano. Per lui il suo lavoro ed il contratto a tempo indeterminato avevano un valore: diceva che la cooperativa lo aveva aiutato in diverse occasioni e lui era venuto ad Arma per aiutare in un momento di grande necessità. Beppe era sempre educato, gentile e disponibile.
Non so quante sfide abbia dovuto affrontare nell’arco della sua vita e quali di esse lo abbiano segnato in maniera indelebile prima di compiere il disperato gesto. Ma so che svolgeva un lavoro non semplice, sia a livello fisico che psicologico. Ed anche se qualcuno lo sceglie per passione, per desiderio altruistico di assistere i più fragili, a volte il carico è semplicemente eccessivo.
E sul lungo termine questo ‘peso’ ti logora, ti mette in ginocchio: è ciò che succede quando dopo l’ennesima emergenza vieni chiamato a coprire il turno perché manca il personale, dopo l’ennesima giornata dai tempi tirati smonti dal lavoro ed arrivi a casa che non sei soddisfatto di quello che hai fatto, perché non c’era abbastanza tempo per offrire professionalità e qualità. E dall’alto l’unica motivazione che ti viene data è che ‘non ci sono gli oss, siamo già sopra i minutaggi’.
Sai che per buon senso, per collaborazione – come spesso viene ripetuto – dovresti stringere la cinghia e tirare avanti, ma senza prospettive concrete di miglioramento ti trovi solo con un altro carico sulle spalle, che sai di non poterti scrollare di dosso. Certo, alcuni alla fine si stancano e decidono di cambiare casa di riposo, nella speranza di trovare un ambiente organizzato meglio.
Altri scelgono semplicemente di esercitare un diverso mestiere, perché troppo saturi di anni di ‘emergenza’, in cerca di una stabilità che a volte pare appesa ad un filo, altre ti sembra invece portata via proprio davanti ai tuoi occhi, perché il miglioramento non giunge mai. Tuttavia alcuni resistono e mettono a dura prova il corpo e la mente, sviluppando malattie professionali e, talvolta, arrivando fino all’esaurimento. E fra questi solo pochi di loro hanno la forza di preservare se stessi chiedendo aiuto.
Che cosa deve ancora succedere in questo settore per rendersi conto che per riuscire ad andare avanti non basta aver scelto come lavoro quello di assistere i malati, non basta l’amore verso il prossimo? L’ultimo decennio è costellato di casi di maltrattamenti e questa volta c’è stato, purtroppo, il suicidio di un dipendente sul luogo di lavoro.
Quanti altri segnali servono ancora per capire che è necessario un cambiamento radicale nelle cooperative, che non tutti sono in grado di chiedere aiuto ed a volte nemmeno si rendono conto di averne bisogno? Quando le istituzioni si faranno carico delle proprie responsabilità ed ammetteranno che è indispensabile una riforma del lavoro?
Quando renderanno obbligatoria la presenza di specialisti in queste strutture, in grado di cogliere per tempo eventuali campanelli d’allarme e di difficoltà, intervenendo in modo da prevenire le tragedie? Quante altre disgrazie servono per trarre un insegnamento da esse? Nelle Rsa hanno bisogno di tutela non solo gli anziani, ma anche i dipendenti. Lui si chiamava Beppe. Era una persona gentile e amava scrivere poesie”.
Redazione Nurse Times
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