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Fibrosi polmonare: tutto quello che c’è da sapere

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Fibrosi polmonare: tutto quello che c'è da sapere
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Cos’è, chi colpisce, cause, sintomi, cure, complicazioni e prevenzione.

La fibrosi polmonare è una malattia cronica progressiva la cui origine può essere ricollegata ad altre malattie (generalmente di tipo reumatologico) e all’esposizione a sostanze irritanti o tossiche, radiazioni o farmaci. Nella gran parte dei casi non è riconoscibile una causa nota e la malattia viene definita idiopatica.

Si tratta di un’interstiziopatia, ossia di una malattia che colpisce l’interstizio polmonare, lo spazio compreso fra gli alveoli. Qualsiasi sia la causa di partenza, il polmone va incontro ad un progressivo danno strutturale dovuto al deposito patologico di tessuto cicatriziale. Il risultato è una riduzione graduale della sua funzionalità. Quindi, il fenomeno penalizza gli scambi gassosi e la quantità di ossigeno resa disponibile ai tessuti per le attività metaboliche. Si manifesta generalmente dopo i 50 anni e la sua incidenza è in continuo aumento nel mondo. In Italia circa 5.000 persone ne sono affette.

La fibrosi polmonare non è reversibile, anche se oggi sono disponibili farmaci, cosiddetti antifibrotici, in grado di rallentarne la progressione. Queste sostanze si aggiungono ai medicinali tradizionalmente usati per il trattamento di questa patologia, i cortisonici e gli immunosoppressori. Esistono, poi, terapie mediche in grado di contrastare le difficoltà respiratorie del paziente. L’ossigenoterapia può essere somministrata anche 24 ore su 24. La riabilitazione respiratoria deve essere eseguita da un fisioterapista specializzato. Ha lo scopo di migliorare l’ossigenazione dei tessuti e la capacità del paziente di gestire la malattia.

Molto importante lo stile di vita del paziente, al quale viene consigliato l’esercizio fisico costante ed un’alimentazione leggera. Sono stati identificati alcuni fattori di rischio per la fibrosi polmonare. Inoltre, esiste una componente familiare, che riguarda un 20% circa dei casi. Infine, sembra che il reflusso gastroesofageo e il fumo da sigaretta agiscano da fattori di rischio per la sua insorgenza.

Fibrosi polmonare: cos’è?

La fibrosi polmonare è una malattia cronica progressiva che può essere idiopatica (ossia senza causa nota). Oppure essere secondaria a malattie reumatologiche (quali le connettiviti e l’artrite reumatoide) o all’esposizione a sostanze tossiche, farmaci o radiazioni. In questa patologia, il tessuto polmonare subisce microlesioni di diversa origine. Queste microlesioni scatenano risposte da parte del tessuto, le quali culminano con la formazione di piccole cicatrici. Nel lungo periodo, il polmone si riempie di tessuto connettivo e va incontro ad un’alterazione definitiva della sua architettura, perdendo progressivamente la funzionalità.

Cosa vuol dire “fibrosi”

La fibrosi polmonare è un’interstiziopatia, una malattia che colpisce l’interstizio. Vale a dire lo spazio tra gli alveoli polmonari, le strutture a sacchetto nelle quali terminano le ramificazioni bronchiali di diametro più piccolo. Quindi l’accumulo di tessuto connettivo cicatriziale rende rigida la struttura del polmone, restringendo il calibro dei capillari dell’interstizio e riducendo la capacità degli alveoli di distendersi lasciando entrare l’aria inspirata. Questo fenomeno penalizza gli scambi gassosi che portano all’espulsione dell’anidride carbonica e all’immissione nel sangue dell’ossigeno, che poi viene distribuito a tutti i tessuti dell’organismo. Di conseguenza, per il paziente è sempre più difficile respirare.

Epidemiologia

Pur potendo comparire a qualsiasi età, la fibrosi polmonare esordisce perlopiù in età adulta, dai 40 agli 80 anni. Colpisce in particolare la fascia fra i 60 e gli 80. Inoltre, interessa più spesso gli uomini, specie se fumatori o ex fumatori. Il 5-20% dei casi di fibrosi idiopatica sono correlati ad una predisposizione genetica. L’incidenza della fibrosi polmonare è in aumento in tutto il mondo. Infatti, negli Usa, si stima che ogni anno vengano effettuate quasi 50.000 nuove diagnosi.

Chi colpisce

Per quanto riguarda questa forma, coinvolge sia uomini che donne di età superiore ai 50 anni in un rapporto di 2:1 (l’età media all’esordio è 66 anni). La prevalenza della malattia è stimata intorno ai 14-42 casi ogni 100.000 persone. Tuttavia, è difficile indicare dati precisi, perché, nonostante le linee guida internazionali, manca un’applicazione uniforme dei criteri diagnostici. In Italia si registrano ogni anno 5.000 nuovi casi di malattia. Malgrado sia considerata una malattia rara, è la forma più frequente di fibrosi polmonare. La distribuzione dei casi non è uniforme sul territorio. Questa è la ragione principale per cui sono stati istituiti registri europei con i dati epidemiologici aggiornati.

Come si manifesta

La tosse associata alla fibrosi diventa progressivamente, e lentamente nel tempo, cronica. E’ secca e stizzosa e si manifesta in attacchi che lasciano il paziente letteralmente senza fiato. Inoltre, la tosse insistente può produrre dolore al torace. La difficoltà respiratoria (dispnea) è dovuta all’irrigidimento delle strutture anatomiche alveolari e alla compressione dei capillari locali, che non consente la corretta ossigenazione del sangue. All’inizio la mancanza di fiato compare in coincidenza di sforzi moderati, come correre o salire velocemente le scale. Invece, nelle fasi più tardive può manifestarsi dopo attività come vestirsi o parlare o camminare lentamente e, più tardi, anche a riposo. A causa della ridotta saturazione in ossigeno del sangue, la persona colpita da fibrosi è spesso: debole; affaticata; stanca; cianotica in viso.

Nel 50% dei casi è presente il cosiddetto ippocratismo digitale (clubbing). E’ una condizione che prende il nome dal medico che per primo si accorse della sua importanza clinica, Ippocrate. E’ una forma particolare delle dita dei piedi e delle mani a bacchetta di tamburo e delle unghie, che appaiono a vetrino d’orologio, un segno presente in diverse malattie croniche. Invece sono rari i sintomi sistemici, come la febbricola e i dolori muscolari. Il quadro polmonare legittima la comparsa di crepitii inspiratori fini e secchi, definiti a velcro, ad entrambe le basi polmonari. Infatti il medico, auscultando il torace del paziente, sente un rumore molto somigliante a quello di due foglietti di velcro che vengono staccati fra loro velocemente.

Quanti tipi ne esistono

A seconda delle cause che l’hanno generata, include diverse entità cliniche, che sfociano tutte nella deposizione di collagene all’interno della struttura del polmone e nella conseguente difficoltà respiratoria.

Fibrosi polmonare idiopatica

È la più frequente malattia respiratoria rara, definita anche alveolite fibrosante criptogenetica o polmonite interstiziale usuale (UIP). E’ caratterizzata dalla deposizione di tessuto cicatriziale in sostituzione di quello sano che via via impedisce la corretta respirazione. La malattia, di cui non sono ancora note le cause, produce dunque un quadro di insufficienza respiratoria.

La sintomatologia si sviluppa nel corso dei mesi o addirittura degli anni. Comprende:

  • difficoltà respiratoria nel compiere uno sforzo fisico, che, nel tempo, si manifesta anche per movimenti banali (dispnea da sforzo)
  • tosse e crepitii: all’auscultazione i polmoni del paziente producono un rumore tipo di velcro distaccato.

Per la diagnosi. lo specialista pneumologo ricostruisce la storia clinica del paziente, lo visita e, per confermarla, prescrive alcuni esami strumentali. Fra questi, la TC ad alta risoluzione (HRCT), senza mezzo di contrasto e la spirometria, una procedura che valuta la capacità polmonare. La biopsia polmonare viene effettuata solo quando la diagnosi non può essere confermata da altre procedure. Inoltre è la dispnea da sforzo a orientare gli approfondimenti verso questa malattia, insieme alla tosse non produttiva.

Tuttavia può rendersi necessario distinguere la malattia da altre, come la bronchite, l’asma e lo scompenso cardiaco, che presentano sintomi in comune. Il trattamento di questa malattia comprende l’assunzione di farmaci antifibrotici e l’ossigenoterapia. Qual è l’aspettativa di vita della fibrosi polmonare idiopatica? La sopravvivenza mediana dei pazienti corrisponde a 3 anni circa dal momento della diagnosi.

Polmonite da ipersensibilità

La fibrosi polmonare può derivare da una polmonite causata dall’ipersensibilità all’esposizione cronica a sostanze tossiche presenti nell’aria, come:

  • polveri di silicio
  • fibre di asbesto, che si verifica perlopiù per ragioni professionali nelle attività agricole (polmone del contadino) e nell’allevamento (polmone del casaro). 

In questi casi, nei quali la malattia prende il nome di pneumoconiosi, il riconoscimento di cause occupazionali può essere reso difficile dal ritardo con cui compaiono le risposte nell’organismo, che si manifestano dopo anni di latenza.

Quali tipi di pneumoconiosi esistono?

Una delle classificazioni delle pneumoconiosi si basa sulla capacità degli agenti inalati di causare la deposizione di tessuto connettivo fibroso (che viene definita potenziale fibrogenico). Con questo criterio si distinguono pneumoconiosi non collagenosiche (siderosi, antracosi), che sono clinicamente meno gravi dalle collagenosiche (silicosi, asbestosi, talcosi, berilliosi, alluminosi), responsabili delle forme con prognosi più sfavorevole.

Cos’è la polmonite dell’allevatore di piccioni?

E una polmonite da ipersensibilità all’inalazione di sostanze naturali quali gli escrementi dei piccoli uccelli (polli, piccioni).

Cosa si intende per pneumopatia dell’agricoltore?

L’inalazione di particelle di muffa (actinomiceti) provenienti dal fieno ammuffito può scatenare una polmonite che, nel tempo, evolve in fibrosi polmonare. Analogamente, alcuni funghi generati dai formaggi ammuffiti possono far ammalare gli addetti alla produzione di formaggio (polmonite del casaro).

Polmonite attinica

La radioterapia del torace utilizzata per il trattamento di alcuni tumori locali può scatenare una pneumopatia diffusa interstiziale chiamata polmonite attinica. Il fenomeno interessa i malati sottoposti a terapia radiante per:

  • cancro al seno
  • linfoma di Hodgkin (interessa l’1-3% dei pazienti)
  • carcinoma del polmone (5-15% dei pazienti) 

Il rischio di sviluppare una polmonite attinica è correlato al volume polmonare irradiato e alla frequenza di somministrazione delle radiazioni. Generalmente le lesioni fibrotiche compaiono a distanza di 4-6 mesi dall’irradiazione. Il quadro clinico di questo disturbo il più delle volte evolve, anche in assenza di trattamenti specifici, verso la completa risoluzione, ma in una minoranza di casi si sviluppa una progressiva fibrosi polmonare, da 6 a 24 mesi dopo la terapia. Attualmente l’incidenza di questa forma di polmonite è in calo, grazie all’impiego di tecniche di radiazione sempre più mirate e selettive, che consentono di minimizzare il volume del tessuto polmonare irradiato.

Polmonite da farmaci

In soggetti sensibili, la somministrazione di farmaci può scatenare una forma di polmonite da ipersensibilità che occasionalmente evolve verso la fibrosi polmonare. Ad esempio:

  • alcuni chemioterapici per il trattamento del tumore (bleomicina, metotrexate, mitomicina C, ciclofosfamide e clorambucil)
  • anti-aritmici (amiodarone)
  • alcuni antibiotici

Questo processo è favorito dalla terapia prolungata con dosi elevate, anche se in letteratura scientifica è possibile trovare casi di reazioni indipendenti dalla dose impiegata e definiti per questo idiosincrasici.

Quindi, l’ipersensibilità al farmaco provoca una reazione di tipo immunitario a livello alveolare ed interstiziale che porta alla produzione anomala di collagene. Inoltre, l’esordio di queste forme di polmonite è insidioso, con sintomi ingravescenti come:

  • dispnea da sforzo
  • tosse stizzosa.

Anche con l’interruzione della somministrazione del farmaco responsabile e l’istituzione di una terapia con cortisonici, la malattia può non essere reversibile.

Fibrosi polmonare da amiodarone

L’amiodarone è un anti-aritmico ampiamente utilizzato in cardiologia, che tende ad accumularsi in alcuni organi specifici (fra cui i polmoni) e rimane in circolo per un intervallo di tempo prolungato (da 40 a 70 giorni). La polmonite interstiziale fibrosante è il danno polmonare più grave da amiodarone (può portare a morte il paziente) e anche una delle principali cause di sospensione del farmaco. Può manifestarsi anche pochi giorni dopo l’inizio del trattamento, ma i pazienti che ne assumono dosi elevate per lunghi periodi di tempo sono più a rischio.

In circostanze particolari, l’amiodarone attiva speciali cellule del sistema immunitario, i linfociti T-citotossici, che aggrediscono l’epitelio del polmone. La spirometria evidenzia già nei primi stadi le alterazioni funzionali della polmonite interstiziale fibrosante da amiodarone che può essere confermata dalla TC ad alta risoluzione. Inutilizzabile, in questi casi, la biopsia polmonare, che in questi pazienti è associata ad elevato rischio di complicazioni. Il decorso clinico di questa polmonite è imprevedibile e la prognosi spesso infausta, anche dopo la sospensione del farmaco, con una mortalità a 90 giorni dal momento del ricovero pari al 37%.

Per scongiurare il rischio di polmonite fibrosante da amiodarone i pazienti in cura con questa sostanza devono essere monitorati con:

  • radiografie del torace
  • visite pneumologiche
  • spirometrie

Inoltre, è anche fondamentale informarli per iscritto sui potenziali effetti avversi e sulla necessità di riferire precocemente della loro comparsa.

Fibrosi polmonare da Covid-19

Un’infezione polmonare può determinare conseguenze irreversibili sulla salute dei polmoni. Malattie come la tubercolosi, anche se guarite, possono lasciare tracce permanenti che riducono la capacità respiratoria e possono rendere indispensabile l’ossigenoterapia. Questa condizione è definita fibrotorace. La fibrotizzazione del polmone può realizzarsi anche in alcuni casi di malattia da SARS-CoV-2. Le statistiche non sono così complete da consentire l’elaborazione di modelli predittivi, perché si tratta di una malattia nuova. Ma molti pazienti nei quali la malattia ha prodotto manifestazioni polmonari di un certo tipo portano nei loro polmoni cicatrici definitive.

Fibrosi e malattie reumatologiche

Spesso le malattie reumatiche autoimmuni si complicano ed esprimono manifestazioni polmonari. Le patologie più frequentemente coinvolte, la sclerodermia e l’artrite reumatoide, possono dare vita ad un quadro clinico intermedio definito interstitial pneumonia with autoimmune features (IPAF). E’ caratterizzato dall’ispessimento dei setti che separano gli alveoli fra loro (normalmente molto sottili), proliferazione dei fibroblasti, deposizione di collagene e, se il processo non viene controllato, fibrosi polmonare. Non esistono protocolli univoci per il trattamento di questi disturbi, che richiedono invece un approccio multidisciplinare e personalizzato sul paziente.

Conseguenze della fibrosi polmonare

L’aria viene introdotta nelle vie aeree superiori e condotta ai polmoni per consentire gli scambi gassosi: passa dal naso o dalla bocca e attraversa la laringe (l’organo che consente la fonazione), per entrare nella trachea, un condotto robusto costituito dalla sovrapposizione di anelli di cartilagine. Gradualmente, scendendo verso i bronchi, la cartilagine si assottiglia per lasciare sempre più spazio alle fibre elastiche. Riducendosi sempre più di diametro, i bronchi diventano bronchioli, che sfociano negli alveoli, piccole sacche che accolgono l’aria inspirata e le cui pareti sono estremamente sottili e ricche di capillari.

È proprio a livello di queste pareti che si verificano gli scambi gassosi: il sangue venoso proveniente dai tessuti periferici, ricco di anidride carbonica (il prodotto di scarto del metabolismo cellulare), cede questo gas e si carica dell’ossigeno contenuto nell’aria inspirata. Questi passaggi avvengono grazie alla presenza dell’emoglobina, la molecola capace di trasportare questi gas nei globuli rossi. I polmoni riempiono quasi completamente la cavità toracica. Poggiano inferiormente sul muscolo diaframma, che separa il torace dalla cavità addominale, lateralmente sono a contatto con le coste e medialmente delimitano il mediastino, lo spazio che alloggia il cuore.

Cosa succede nei polmoni con la fibrosi

Le cause precise della fibrosi polmonare non sono note, ma l’ipotesi più plausibile è che si verifichi un’alterazione patologica dei processi di riparazione dell’organo nei confronti di stimoli di vario tipo, batterico, chimico, fisico. Tutti i tessuti possiedono strumenti per ripararsi dalle lesioni cui possono andare incontro, ad esempio in caso di infezione o trauma. La pelle forma una crosta e, successivamente, una cicatrice quando ci tagliamo.

Per ragioni ancora in parte ignote, associate a specifiche predisposizioni genetiche e alla durata dello stimolo, i polmoni di alcune persone oppongono reazioni sproporzionate a particolari condizioni. Si depongono quantità eccessive di tessuto connettivo fibroso che ne determinano la perdita dell’architettura fisiologica e dell’elasticità, e, in ultima analisi, anche della funzionalità. La conseguenza è che i tessuti non vengono ossigenati a sufficienza. Quindi, la persona colpita perde progressivamente la capacità di svolgere le normali azioni quotidiane e sviluppa una sempre maggiore difficoltà a respirare.

Teorie sulla patogenesi

Il meccanismo patogenetico della fibrosi polmonare non è ancora compreso del tutto: sono state formulate due ipotesi a riguardo. La prima, detta teoria non infiammatoria, interpreta la fibrosi come il risultato dell’attivazione di speciali cellule dell’epitelio polmonare in risposta allo stimolo agente sull’organo. I fibroblasti sono le cellule responsabili della produzione delle fibre di collagene, le stesse che vorremmo attivare applicando una crema antirughe e che, in questo caso, invece, preferiremmo inibire.

La seconda ipotesi, più accreditata, è quella infiammatoria. Quindi, la fibrosi polmonare sarebbe dovuta alla cronicizzazione di un’infiammazione degli alveoli e del conseguente tentativo di riparazione. La risposta immunitaria allo stimolo infiammatorio implica il rilascio di sostanze che stimolano l’attività dei fibroblasti nella produzione di matrice extracellulare alterata sia qualitativamente che quantitativamente. Ma contestualmente vengono attivate speciali cellule del sistema immunitario, i linfociti polimorfonucleati, che liberano sostanze tossiche capaci di distruggere il tessuto polmonare.

Fibrosi o tumore ai polmoni

Esistono numerose analogie tra la fibrosi polmonare, soprattutto quella idiopatica, e i tumori del polmone. infatti, entrambe sono condizioni nelle quali si verifica una proliferazione cellulare incontrollata. In primo luogo, alterazioni genetiche. Sono state identificate nei pazienti con fibrosi mutazioni del gene p53, che, alterato, è coinvolto anche nella genesi di alcuni tumori. Inoltre, similitudini nella risposta ai segnali di crescita, la medesima resistenza all’apoptosi, la morte cellulare programmata che ha il compito di sacrificare cellule alterate per salvare il tessuto sano. Infine il comportamento anomalo dei fibroblasti. Quindi, terminata la loro funzione di riparazione del parenchima leso, non si disattivano, ma continuano a deporre matrice extracellulare.

Quadro TC del tessuto colpito da fibrosi

Mentre in una fase iniziale gli esami radiografici testimoniano la sostanziale assenza di segni patologici nel tessuto polmonare, in uno stadio avanzato della malattia mostrano chiaramente gli infiltrati negli spazi compresi fra gli alveoli, gli interstizi, di entrambi i polmoni. Il segno più comune è rappresentato dalle cosiddette opacità a vetro smerigliato combinate con la presenza di micronoduli diffusi, i granulomi, esiti di processi infiammatori che il polmone ha cercato di isolare per mettere in salvo il tessuto sano. Inoltre, negli stadi avanzati, la perdita di elasticità può essere tanto imponente da determinare fenomeni di trazione che dilatano gli alveoli e creano sacche nelle quali gli scambi gassosi non possono più realizzarsi (bronchiectasie).

Cos’è la fibrosi polmonare a nido d’ape

Nei pazienti con fibrosi possono essere presenti cisti localizzate al di sotto della pleura, la membrana che avvolge i polmoni e che li dilata trainata dai movimenti della gabbia toracica promossi dai muscoli respiratori. Queste cisti subpleuriche sono di piccole dimensioni e disposte in un pattern a nido d’api (microcystic honeycombing).

Cause della fibrosi polmonare

Nei pazienti per i quali è possibile individuare una ragione, la malattia è secondaria all’esposizione a diversi fattori:

Contatto con sostanze tossiche

Il contatto prolungato per ragioni professionali con sostanze tossiche, particelle di metalli pesanti, prodotti utilizzati nelle attività agricole e negli allevamenti può generare pneumopatie interstiziali definiti pneumoconiosi, meno gravi (non collagenosiche) se causate da agenti meno fibrogenici (siderosi, antracosi), con prognosi più sfavorevole se collagenosiche:

  • silicosi
  • asbestosi
  • talcosi
  • berilliosi

Inalazione

L’inalazione di sostanze naturali quali muffe o escrementi di uccelli può scatenare polmoniti da ipersensibilità, che possono, a loro volta, evolvere in fibrosi. Rientrano in questa categoria la cosiddetta polmonite dell’allevatore di piccioni, la pneumopatia dell’agricoltore, scatenata dalle particelle di muffa (actinomiceti) presenti nel fieno ammuffito e la polmonite del casaro, correlata ad alcuni funghi generati dai formaggi ammuffiti.

Radioterapia

La radioterapia del torace per il trattamento di malattie quali il tumore del polmone, il Linfoma di Hodgkin e il cancro al seno può causare una forma di pneumopatia interstiziale detta polmonite attinica. Il rischio di andare incontro a questa conseguenza è tanto più alto quanto maggiore è il volume polmonare trattato e più elevata la frequenza di somministrazione.

Farmaci

L’assunzione di alcuni farmaci può avere come conseguenza l’insorgenza di una polmonite da ipersensibilità, suscettibile di evoluzione in fibrosi. Le molecole correlate a questo fenomeno sono alcuni chemioterapici usati per il trattamento del tumore, alcuni anti-aritmici (amiodarone) e antibiotici. In alcuni casi queste reazioni sono dose dipendenti e si verificano per somministrazioni prolungate a dosi elevate, in altri si realizzano anche per assunzioni sporadiche (idiosincrasia).

Infezioni microbiche

Infezioni microbiche pregresse possono, nel processo di guarigione, determinare la deposizione di cicatrici abnormi; può accadere nel caso della tubercolosi (fibrotorace) e in altre malattie causate da microorganismi. Caratteristico è il caso della fibrosi polmonare da COVID-19, determinata dagli esiti della malattia da SARS-CoV-2, che è appunto una polmonite interstiziale.

Malattia reumatologica

La copresenza di una malattia reumatologica, come la sclerosi sistemica, la dermatomiosite, le polimiositi e l’artrite reumatoide e la conseguente esposizione ad anticorpi erroneamente prodotti dallo stesso organismo contro se stesso (autoanticorpi) possono scatenare alterazioni intermedie fra le patologie autoimmuni e la fibrosi polmonare.

Ipotesi sulle cause della fibrosi polmonare idiopatica

Da studi recenti sembra che la fibrosi polmonare idiopatica sia legata ad un invecchiamento precoce dei polmoni. Infatti, si è visto che l’incidenza di questa malattia aumenta all’aumentare dell’età e che nelle persone di età maggiore ai 75 anni è più frequente rilevare, nei controlli radiologici, alterazioni interstiziali come quelle presenti nella patologia. Una delle caratteristiche peculiari dell’invecchiamento è rappresentata dall’accorciamento dei telomeri, le porzioni terminali dei cromosomi, che hanno la funzione di proteggere i geni dal danno che si verifica quando il DNA viene aperto e copiato per la replicazione della cellula. L’accorciamento dei telomeri è anche uno degli elementi della patogenesi della fibrosi polmonare idiopatica e riconosce fra le sue cause il fumo, annoverato fra i fattori di rischio della malattia.

Fattori di rischio

Al di là dell’esposizione prolungata a sostanze tossiche (silicio, asbesto, berillio) o ipersensibilizzanti (escrementi di uccelli, muffe) o ionizzanti (radioterapia per il trattamento del tumore), responsabili delle forme specifiche di fibrosi polmonare, sono stati individuati alcuni fattori di rischio che aumentano la probabilità di insorgenza della fibrosi idiopatica. Il primo è il fumo di sigaretta: fumare o aver fumato nella propria vita raddoppia il rischio di sviluppare la malattia. Basti pensare che il 60% dei malati è fumatore o ex-fumatore. Secondo recenti studi clinici, esiste anche un’associazione tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico e la malattia. Anche il reflusso gastro-esofageo è fra le condizioni che possono favorire la fibrosi: le microparticelle di acido che risalgono dallo stomaco possono raggiungere i polmoni, danneggiandoli.

Tali fattori sono responsabili di ripetuti micro-insulti al tessuto polmonare, che risultano complessivamente in un danno cronico agli alveoli. Lo stesso tipo di lesione può evolvere verso l’enfisema (che è il risultato della distruzione totale del parenchima), il tumore (che nasce da una degenerazione cellulare) o un processo riparativo eccessivo e ridondante, che porta alla fibrosi. In alcuni individui uno stesso fattore di rischio può generare un danno composto. Ad esempio enfisema e fibrosi, che configurano il cosiddetto combined pulmonary fibrosis emphysema, associato a sua volta ad una maggiore frequenza di cancro del polmone.

Complicanze della fibrosi

Durante il decorso della malattia possono svilupparsi complicanze a carico dell’apparato respiratorio stesso e del sistema cardiocircolatorio.

Insufficienza respiratoria

L’insufficienza respiratoria conclamata rappresenta l’ultimo stadio della malattia ed è causata dall’irrigidimento della struttura degli alveoli, che perdono la possibilità di effettuare gli scambi gassosi. In conseguenza di questo, il sangue è meno ossigenato e i tessuti periferici non hanno a disposizione le risorse per eseguire le reazioni metaboliche. Mentre inizialmente le difficoltà respiratorie compaiono solo a seguito di sforzi moderati, come salire le scale o correre, nella fase dell’insufficienza respiratoria la dispnea è presente anche a riposo e il paziente deve fare ricorso all’ossigenoterapia permanente.

Fibrosi e ipertensione polmonare

L’irrigidimento delle strutture alveolari comprime i capillari sanguigni dei polmoni, aumentando la pressione nell’arteria polmonare e in tutto il circolo polmonare, provocando sintomi quali l’astenia, la dispnea da sforzo (che è il sintomo che deve orientare il processo diagnostico) e un senso costante di fastidio al torace. La rottura di un vaso polmonare è piuttosto rara, ma possibile, e determina l’espulsione attraverso la bocca del sangue raccolto (emottisi o emoftoe), un’evenienza che può essere fatale per il paziente. Per ridurre la pressione nei vasi polmonari possono essere somministrati vasodilatatori e diuretici, ma nei casi avanzati l’unica soluzione è il trapianto del polmone. Di fatto, se non viene trattata la causa alla base, la prognosi dell’ipertensione polmonare è infausta. La diagnosi dell’ipertensione polmonare secondaria alla fibrosi viene effettuata tramite radiografia del torace e prove di valutazione della funzionalità respiratoria (spirometria) e cardiaca (ecocardiografia, elettrocardiografia) e confermata attraverso la cateterizzazione dell’arteria polmonare.

Scompenso cardiaco destro

Poiché si tratta di un disturbo del cuore dovuto ad un problema polmonare, lo scompenso cardiaco destro è noto anche con l’espressione cuore polmonare. E’ una risposta dell’organismo all’ipertensione polmonare: il sangue fatica a scorrere nei vasi polmonari, schiacciati, e si accumula con modalità retrograda nei tessuti periferici. Il carico aumenta così sul ventricolo destro del cuore, che si dilata, un fenomeno alla base della formazione di gonfiori, della distensione delle vene del collo e dell’ingrossamento del fegato (epatomegalia). La diagnosi viene formulata su base clinica e confermata dall’elettrocardiografia. Il trattamento deve essere diretto contro la causa, ossia la fibrosi.

Fibrosi e carcinoma polmonare

I legami fra la fibrosi e il carcinoma polmonare sono molto studiati. Il medesimo fattore di rischio alla base dell’una, il fumo da sigaretta, può sfociare anche nell’altro e le due malattie hanno, almeno inizialmente, la stessa patogenesi. Non è chiaro perché, ad un certo punto, una serie di micro traumi (fisici o chimici) cui è sottoposto il tessuto polmonare, evolva nella deposizione di tessuto cicatriziale (dando luogo alla fibrosi) oppure nella degenerazione dei meccanismi di regolazione della replicazione cellulare (generando il tumore). La fibrosi rappresenta di per sé un fattore di rischio per il carcinoma del polmone, avendo essa stessa caratteristiche iperproliferative. Spesso, le emottisi, più che complicanze tout court della fibrosi, sono un segnale dell’insorgenza del tumore.

Come evolve la fibrosi

La fibrosi polmonare non è una malattia reversibile, ma le terapie possono rallentarne la progressione e ridurne la sintomatologia, migliorando di fatto la qualità della vita dei pazienti. Nello stadio avanzato, quando l’insufficienza respiratoria è conclamata, il paziente ha difficoltà a respirare anche a riposo. La comparsa di complicanze quali l’ipertensione polmonare e lo scompenso cardiaco destro, associate alla dispnea cronica, segnalano l’ingresso del paziente nello stadio terminale. È importante predisporre un piano di cure per il fine vita per i pazienti non candidabili al trapianto.

Qual è il tempo medio di sopravvivenza?

La prognosi è però negativa: l’insufficienza respiratoria è generalmente la causa di morte, evento che si verifica in media dai 3 ai 5 anni dal momento della diagnosi. Solo il 30% circa dei pazienti sopravvive a 5 anni dalla diagnosi: questo dato è allarmante e ci dice che la fibrosi ha una prognosi peggiore della maggior parte delle patologie oncologiche. I dati sulla sopravvivenza dei malati di fibrosi sono migliori in presenza di una terapia adeguata e di un approccio multidisciplinare attento e scrupoloso, che riguarda sia la somministrazione delle terapie mediche previste (ossigenoterapia, fisioterapia respiratoria) sia l’adozione di uno stile di vita adeguato.

Come si diagnostica

Non di rado la diagnosi della malattia risulta difficile o giunge con ritardo, specialmente quando il paziente non si rivolge ad un centro di riferimento specifico. In sede di visita medica lo specialista accerta l’eventuale presenza di fattori di rischio e il loro possibile coinvolgimento nello sviluppo della malattia ed è in grado di percepire alla base dei polmoni i caratteristici rumori prodotti nel malato con fibrosi, i crepitii detti a velcro o a neve calpestata, reperti significativi, insieme al numero elevato degli atti respiratori del paziente, che sono anche più superficiali (tachipnea), ma non specifici né sufficienti per porre la diagnosi.

Esami per la fibrosi

Vengono eseguiti accertamenti della funzionalità respiratoria, come la spirometria, la valutazione della diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio (DLCO) e il test del cammino di 6 minuti (6MWT), che valuta il grado di tolleranza all’esercizio fisico. Il paziente cammina su un piano per 6 minuti il più velocemente possibile, mentre viene monitorata l’ossigenazione del suo sangue. Il torace viene osservato all’esame radiografico RX e con la TC ad alta risoluzione: in presenza di quadri tipici come le alterazioni a nido d’ape è possibile già sospettare la malattia. La TC, in particolare, è l’indagine specifica per questa malattia, perché è in grado di esaminare anche la struttura fine degli alveoli. Permette anche di sciogliere il dubbio sulla differenziazione della fibrosi rispetto a patologie quali l’asma, la bronchite e lo scompenso cardiaco. Sono, inoltre, effettuate indagini di laboratorio come la emogasanalisi, che consiste nella determinazione della saturazione in ossigeno e anidride carbonica del sangue. E, con l’elettrocardiografia, viene esplorata la funzionalità del cuore.

La biopsia polmonare è riservata ai casi in cui la diagnosi non è chiara o per caratterizzare il tipo di fibrosi. Viene eseguita in anestesia generale e consiste nel prelievo di un piccolo frammento di polmone che viene poi esaminato da un anatomo-patologo. Può essere effettuata a cielo aperto (con metodica tradizionale), per via toracotomica (durante un intervento chirurgico) o mediante l’inserimento della strumentazione endoscopica in piccoli fori praticati nel torace (VATS, toracoscopia video-assistita).

Come si cura la fibrosi polmonare

Attualmente non è disponibile alcun farmaco che possa ridurre la fibrosi polmonare o bloccarne completamente la progressione, che può essere però rallentata con l’assunzione dei nuovi farmaci antifibrotici. Ogni trattamento deve essere assunto correttamente, nelle dosi e nei tempi prescritti, e strettamente monitorato dal centro prescrittore, al quale il paziente è bene che segnali tempestivamente eventuali nuovi disturbi o sospette reazioni avverse. È anche fondamentale che le persone con fibrosi si sottopongano alla vaccinazione antipneumococcica e antinfluenzale e che smettano di fumare. Se presente reflusso gastroesofageo, deve essere curato, come possibile fattore prognosticamente sfavorevole, con la somministrazione di antiacidi.

Farmaci

Fino a qualche anno fa per il trattamento della fibrosi erano disponibili solo farmaci cortisonici e immunosoppressori (in particolare ciclofosfamide, azatioprina e micofenolato mofetile), molecole che rallentano lo sviluppo del tessuto connettivo e dunque anche delle cicatrici. Ma solo una piccola parte dei pazienti ne traeva beneficio. L’avvento degli antifibrotici, in particolare pirfenidone e nintedanib, ha permesso un rallentamento dell’evoluzione della malattia e del declino della funzionalità respiratoria, soprattutto se la terapia viene instaurata precocemente. Si tratta di molecole con azione antiproliferativa sui fibroblasti dell’epitelio. L’aggiunta di N-acetilcisteina ad alte dosi può essere efficace nei pazienti che utilizzano cortisonici e immunosopressori, ma non ci sono evidenze sperimentali a conferma di questa ipotesi.

Anticorpi monoclonali – Lo scorso maggio l’Agenzia del Farmaco italiana ha approvato una sperimentazione coordinata dal professor Luca Richeldi (Direttore della UOC di Pneumologia presso la Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e docente di Medicina Respiratoria presso l’Università Cattolica) che arruola pazienti con grave infezione COVID-19 per la valutazione dell’efficacia e della sicurezza di un candidato farmaco high-tech per la fibrosi, il pamrevlumab, un anticorpo monoclonale diretto contro il Connective Tissue Growth Factor, una molecola che stimola la deposizione di fibre di collagene. Si tratta di un farmaco attualmente in sperimentazione anche per la fibrosi polmonare idiopatica, che potrebbe avere un’azione preventiva sulla formazione delle gravi cicatrici che avviene nei pazienti COVID.

Ossigenoterapia

L’ossigenoterapia sopperisce alla scarsa saturazione di ossigeno nel sangue causata dalla ridotta funzionalità polmonare (ipossiemia). Nelle fasi iniziali della malattia viene generalmente prescritta al bisogno, durante il movimento, ma negli stadi avanzati, quando l’insufficienza respiratoria è conclamata, può essere usata dal paziente anche durante il riposo oppure 24 ore su 24. In generale, il fabbisogno di ossigeno viene stabilito in base ai valori di emogasanalisi e saturimetria. Per i pazienti l’ossigeno è un supporto, uno strumento per avere energie extra da investire nello svolgimento delle attività quotidiane.

Programma di riabilitazione respiratoria

La riabilitazione cardio-polmonare, attraverso l’esecuzione di esercizi specifici, contribuisce a migliorare la respirazione, a tollerare di più gli sforzi fisici, a ridurre le ospedalizzazioni e, in definitiva, ad aumentare la qualità di vita del paziente.

Questo insieme di procedure, che può essere istituito in qualsiasi stadio della malattia, è generalmente parte di un programma integrato che comprende anche:

  • allenamento fisico, soprattutto aerobico, che potenzia la resistenza dei muscoli respiratori e quelli degli arti inferiori e superiori
  • stimolazione elettrica neuromuscolare: attraverso un dispositivo che invia impulsi elettrici transcutanei i muscoli dei pazienti gravi possono essere tenuti in esercizio anche se l’attività fisica è diventata non più praticabile
  • educazione del paziente, che comprende il counseling per la dipendenza dal fumo, l’insegnamento di strategie respiratorie, del corretto uso dei farmaci e la pianificazione delle cure per il fine vita
  • interventi psicosociali e comportamentali, che possono essere di supporto nei casi di depressione e ansia, nel miglioramento dell’aderenza terapeutica.

Viene effettuata da una équipe di medici, infermieri, terapisti della respirazione, fisioterapisti ed ergoterapisti, psicologi o assistenti sociali in maniera personalizzata sulle esigenze del paziente.

Come guarire dalla fibrosi polmonare

La fibrosi polmonare è la malattia più complessa da curare con il trapianto di polmone, ma consente al paziente di liberarsi dell’ossigeno e tornare alla sua vita. Il trapianto di polmone doppio è associato ad un tasso di sopravvivenza a 5 anni più elevato dei trapianti di polmone singolo, ma questa considerazione non è sempre valida nei pazienti di età superiore ai 70 anni, a causa della complessità dell’intervento e dei rischi maggiori che comporta in questi casi. Ma i tempi di attesa per il trapianto sono lunghi e la progressione della malattia inesorabile. Per questa ragione viene consigliata l’iscrizione nella lista trapianti più precoce possibile, addirittura contestualmente alla diagnosi.

Alimentazione

Una alimentazione bilanciata contribuisce al mantenimento del peso forma e fornisce l’energia necessaria per compiere attività fisica. Quindi è bene che i pazienti si rivolgano al medico per chiedere consiglio sui fattori che possono interferire con le abitudini alimentari, come ad esempio:

  • eventuali intolleranze
  • problemi odontoiatrici o digestivi

In generale, è meglio suddividere il cibo in piccoli pasti frequenti ed evitare di riempirsi troppo, rendendo più difficile la respirazione. Inoltre, la prevenzione del sovrappeso è anche parte dei requisiti per il trapianto.

Stile di vita

Restare attivi, anche socialmente, e svolgere attività fisica regolare è il primo consiglio per rallentare il deterioramento della capacità respiratoria e promuovere il benessere psichico. Tenere un diario che aiuti a pianificare le terapie e la dieta può essere molto utile a individuare tempestivamente eventuali reazioni avverse dei farmaci o peggioramenti della sintomatologia che richiedono un consulto medico. Poiché la dispnea può essere fonte di stress che peggiora ulteriormente la respirazione, l’apprendimento delle tecniche di rilassamento permette la distensione della muscolatura toracica volontaria e migliora la gestione della malattia, aumentando anche la qualità del riposo notturno. La necessità di interruzione del fumo da sigaretta è tale da richiedere anche il supporto psicologico laddove il paziente non riesce a liberarsi della dipendenza.

Come prevenire la fibrosi polmonare

La prevenzione della fibrosi polmonare passa attraverso l’allontanamento dai suoi fattori di rischio. Nel caso delle forme a causa nota, il rischio viene ridotto mettendo in sicurezza gli ambienti di lavoro, specialmente quelli dell’ambito agricolo e degli allevamenti. Per quanto riguarda la polmonite interstiziale da ipersensibilità ai farmaci, il paziente deve essere costantemente monitorato per cogliere un eventuale segno iniziale di idiosincrasia o interstiziopatia. Lo stesso vale per le persone che soffrono di malattie reumatiche a rischio per conseguenze polmonari, come l’artrite reumatoide e la sclerodermia. I pazienti in cura per tumore con radioterapia al mediastino devono essere valutati per il rischio di polmonite attinica. Inoltre, la malattia può essere prevenuta rinunciando al fumo da sigaretta e curando il reflusso gastroesofageo con una terapia ed uno stile di vita appropriati.

La fibrosi negli animali

La malattia è stata descritta anche negli animali, in particolare in alcune razze di cani (fra cui il West Highland White Terrier) e di gatti. Le manifestazioni veterinarie della malattia sono analoghe a quelle umane: una maggiore e progressiva intolleranza all’esercizio fisico, una frequenza respiratoria più elevata della norma e, negli stadi avanzati, l’insufficienza respiratoria.

Redazione Nurse Times

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