La Corte di Cassazione torna ad affrontare l’annosa questione del diritto alla mensa nel settore della sanità pubblica. In particolare, si tratta di una domanda proposta da un dipendente turnista di un azienda ospedaliera dinanzi alla Corte d’appello di Messina, che ha accertato il suo diritto all’erogazione dei buoni pasto per ogni turno lavorativo eccedente le sei ore, condannando l’azienda stessa al risarcimento del danno.
A fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che l’art. 29, comma 2, del Ccnl comparto sanità del 2001 doveva essere interpretato in combinato disposto con l’art. 8 D.lgs. n. 66/2023, ritenendo che in forza di tali disposizioni il diritto alla mensa doveva essere identificato con il diritto alla pausa. Pertanto il diritto alla mensa doveva riconoscersi a tutti i dipendenti che effettuavano un orario di lavoro giornaliero eccedente le sei ore.
Osservava tuttavia che per uno dei tre turni, quello mattutino (dalle 7 alle 13), non doveva essere riconosciuto il diritto alla mensa poiché non eccedente le sei ore, mentre per gli altri due (pomeridiano e notturno), non potendo essere sospeso il servizio di assistenza e non essendovi una mensa serale, doveva riconoscersi il diritto ai buoni pasto.
L’azienda ospedaliera ha pertanto presentato ricorso in Cassazione, deducendo che la dipendente avrebbe potuto provvedere alla consumazione del pasto prima di iniziare il turno pomeridiano e notturno e che l’art. 8 D.lgs. n. 66/2003 non attribuiva il diritto alla mensa, ma disciplinava esclusivamente il diritto alla pausa, essendo soltanto una possibilità, quella di consumare il pasto durante la pausa.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, precisando alcuni principi cardine in materia:
- il diritto alla fruizione del pasto non ha natura retributiva ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore e per questa natura è strettamente collegato alle disposizioni di contrattazione collettiva che lo prevedono;
- ai sensi dell’art. 29 del Ccnl Sanità integrativo 2001, il pasto va consumato al di fuori dell’orario di lavoro e il tempo a tal fine impiegato è rilevato con i normali strumenti di controllo dell’orario e non deve essere superiore a 30 minuti;
- la fruizione del pasto ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato, diversamente non potrebbe esercitarsi alcun controllo sulla sua durata;
- la particolare articolazione dell’orario di lavoro ai sensi del comma 2, dell’art. 29, del ccnl integrativo Sanità 2001 che attribuisce il diritto alla mensa ai dipendenti presenti in servizio è quella collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro: di qui il rilievo del d.lgs. n. 66/2003, art. 8, a tenore del quale il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto; le modalità e la durata della pausa sono stabiliti dai ccnl e, in difetto, la durata non è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.
Sulla scorta di questi principi la Corte di Cassazione ha infine confermato la sentenza della Corte territoriale, e dunque che il diritto alla mensa ex art. 29, comma 2 del Ccnl 2001 è legato al diritto alla pausa (in coerenza con la sentenza n. 31137/2019).
Redazione Nurse Times
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